Bosco di faggi:
G. Bateson ritenne il mondo naturale
un utile modello per la comprensione
dei processi comunicativi
A partire dal 1942 Gregory Bateson, uno studioso britannico
passato nel
corso della sua carriera scientifica dalla biologia all'antropologia,
partecipò a una serie di eventi noti come Macy Conferences, nel
corso delle quali si posero le basi per l'applicazione del modello
sistemico alla lettura dei comportamenti umani (1
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Per "sistema", o, meglio, "mente" Bateson intendeva "un aggregato
di
parti interagenti", nel quale le componenti si relazionano tra loro
tramite scambi di un quid immateriale: l'informazione (una differenza
che crea una differenza).
Tali scambi, secondo Bateson, avvengono in virtù di flussi
comunicativi circolari e fanno sì che realtà
organizzate
in forma di "menti" abbiano caratteristiche molto particolari, tra le
quali il fatto che esse sono in grado, fino a una certa misura, di
autoregolarsi in risposta ai cambiamenti dell'ambiente.
Inoltre un sistema, proprio in virtù degli scambi circolari di
informazione tra le sue parti, manifesta un'organizzazione "a
livelli":
le interazioni tra le componenti creano un'unità più
ampia i cui comportamenti sono più della somma dei comportamenti
delle sue parti (2).
L'applicazione di questo modello allo studio delle relazioni tra le
persone consentì di dare spiegazioni suggestive a molti fenomeni
incomprensibili che avvenivano in tali ambiti. Sembrò ad esempio
evidente che all'interno di un gruppo umano il comportamento delle
singole persone non era solo espressione delle loro intenzioni, ma
poteva essere interpretato anche come una risposta inconsapevole di
queste alle esigenze di autoregolazione del più ampio sistema
gruppale (3).
Intorno al 1970, Richard Bandler e John Grinder, due
allora giovani
studiosi della Scuola di Palo Alto approfondirono gli studi di Bateson
nell'ambito della psicologia sociale ed individuale. Avvalendosi anche
di strumenti tratti dalla grammatica trasformazionale di Noam Chomsky
(4)
e dedicando ore di ascolto e di
osservazione a grandi comunicatori come Milton Erickson, Virginia
Satir, Fritz Perls ed altri (5)
esplorarono due delle dimensioni caratteristiche delle nostre "menti",
intese in senso batesoniano:
la loro (relativa) chiusura informazionale,
cioè il fatto
che
una mente, in virtù delle relazioni circolari tra le sue parti,
è in rapporto con ciò che è "esterno" solo in modo
indiretto tramite una propria versione codificata del mondo ("la mappa
non è il territorio", la nostra percezione della realtà
non è la realtà, scriveva già Bateson, citando
Korzybski) (6);
la loro "unità plurale", vale a dire il
fatto che la nostra identità, in quanto menti, non è
monolitica, ma è sfaccettata e deriva dall'interazione tra
più "parti" (7).
Per descrivere le caratteristiche delle mappe individuali, Bandler e
Grinder elaborarono il linguaggio dei sistemi rappresentazionali,
tramite il quale ebbero uno strumento che consentì loro di
descrivere il nostro pensiero in termini di immagini, suoni e rumori,
sensazioni e sentimenti, odori,
dati gustativi tra loro variamente combinati a formare complesse
rappresentazioni del territorio (le mappe, appunto) o articolate
procedure di elaborazione delle informazioni (strategie) (8).
Grazie a questo potente strumento concettuale divenne loro possibile
non
solo parlare di quello che avveniva "dentro" di noi, ma anche
cambiarne rapidamente e con efficacia le caratteristiche disfunzionali.
Già Wittgenstein aveva notato che "Il mondo del felice
è
un altro da quello dell'infelice" (9).
Bandler e Grinder avevano
ora gli strumenti per fare in modo che
il mondo dell'infelice fosse un po' più simile a quello del
felice.
Robert Dilts, prima allievo e poi collega
di Bandler e
Grinder,
contribuì al loro
lavoro elaborando una schematica rappresentazione della strutturazione
delle menti individuali che, pur nella sua astrattezza, rendeva ragione
dell'organizzazione gerarchica delle "mappe" che le costituivano.
Secondo Dilts, si può descrivere l'organizzazione delle nostre
mappe mentali come articolata sui seguenti livelli:
ciò che pensiamo del mondo, che controlla
la nostra identita (ciò che noi pensiamo di noi
stessi),
che
controlla
i nostri valori e le nostre convinzioni (ciò che
riteniamo
giusto o opportuno fare), che controlla
le nostre capacità (ciò che sappiamo fare),
che
controlla
il nostro effettivo comportamento, che interagisce con
l'ambiente esterno, che influisce su
ciò che pensiamo del mondo. (10)
(l'ultimo
punto
è una mia aggiunta all'elenco, che ritengo tuttavia legittima e
coerente col modello).
La gerarchia (come prevedibile, circolare) evidenzia la natura
paradossale del modello: esso non costituisce una descrizione vera di
come stanno le cose, ma è solo uno strumento che consente alla
nostra mente di interagire con altre menti per favorirne l'evoluzione
nel senso di un maggior adattamento reciproco delle loro parti e di una
più efficace relazione tra la "mente" e il "mondo" ad essa
"esterno".