S'avanzò allora per interrogarlo Gargi,
figlia di Vacaknu.
"Yajnavalkya - disse - se le acque
son la trama in cui tutto il mondo è intessuto,
in qual trama sono intessute le acque?".
"Nel vento, Gargi".
"E in qual trama è intessuto il vento?".
"Negli spazi dell'atmosfera, Gargi".
"E gli spazi dell'atmosfera in quale trama sono intessuti?".
"Nei mondi dei gandharva, Gargi".
"E i mondi dei gandharva in quale trama sono intessuti?".
"Nei mondi del sole, Gargi".
"E i mondi del sole in quale trama sono intessuti?".
"Nei mondi della luna, Gargi".
"E i mondi della luna in quale trama sono intessuti?".
"Nei mondi delle stelle, Gargi".
"E i mondi delle stelle in quale trama sono intessuti?".
"Nei mondi degli dei, Gargi".
"E i mondi degli dei in quale trama sono intessuti?".
"Nei mondi di Indra, Gargi".
"E i mondi di Indra in quale trama sono intessuti?".
"Nei mondi di Prajapati, Gargi".
"E i mondi di Prajapati in quale trama sono intessuti?".
"Nei mondi del Brahman, Gargi".
"E i mondi del Brahman in quale trama sono intessuti?".
Allora Yajnavalkya disse: "O Gargi, non fare troppe domande,
che la tua testa non scoppi.
Tu fai domande su una divinità
al di là della quale non possono più farsi domande.
Gargi, non fare altre domande".
Allora Gargi, la figlia di Vacaknu, si tacque.
Brhadaranyaka Upanishad
VI Brahmana, 18
1. Cambiamento da collasso
Dovrei essere analitico.
Ma su un blog non lo si può essere.
E io non ho né il tempo, né le competenze per approfondire.
Quindi mi limito a segnalare alcuni link che rimandano alla questione che vorrei - ma non posso - approfondire: quali sono i fattori scatenanti dell'attuale crisi economica, quali i probabili esiti e quali le possibili soluzioni.
Ciascuno, poi, trarrà di suo le proprie conclusioni.
Mi ha molto colpito la lettura che, del fenomeno, fa Alberto Bagnai: l'attuale crisi non sarebbe dovuta, come ritenuto da molti, al debito pubblico accumulato dai Governi italiani spendendo e spandendo in questi ultimi vent'anni, ma al fatto che lo Stato italiano si è impegnato a rientrare dai debiti contratti con le banche del Nord Europa dai privati italiani [cittadini e imprese].
La sua lettura del fenomeno è basata sul pattern del ciclo di Frankel, sintetizzato in modo egregio qui [www.forumpolitico.net].
È il medesimo processo che ha portato il Meridione del nostro Paese a soffrire di sistematica sudditanza al Nord fin dai tempi dell'annessione al Regno d'Italia.
Saltando un bel po' di passaggi nella spiegazione del processo: i privati italioti non riuscirebbero più a restituire il dovuto per il crollo della nostra produzione e il conseguente aumento della disoccupazione causate, tra le altre cose, dal dumping attuato dalla Germania nei confronti del Sud Europa tramite inflazione bassa e basso costo del lavoro da una parte e imposizione della moneta unica a tutta l'area euro dall'altra; chiaro che se la produzione crolla e aumentano i disoccupati, poi calano i consumi; e la produzione cala ulteriormente; se, per ridurre il deficit pubblico [aumentato per minori entrate fiscali e maggiori interessi da pagare, causa l'aumento del rischio Paese] lo Stato va ad aumentare la tassazione sul poco reddito rimasto, si consuma e si produce ancora di meno; e il processo entra in avvitamento [le tesi di Bagnai sono espresse in modo approfondito e molto meglio di quanto non sia in grado di fare io su goofynomics; un suo testo più sintetico, anche se tecnico, è consultabile su sbilanciamoci].
Ripeto: Bagnai non ritiene che il nostro problema principale siano le inefficienze dello Stato e delle Pubbliche Amministrazioni, gli investimenti a vuoto nel Meridione, la corruzione politica, la mafia.
No, lui pensa che la responsabilità principale sia di un eccesso di debito privato [prima di cittadini e imprese; poi di banche] scaricato sul debito pubblico.
E di come Italia e Germania stiano gestendo la faccenda.
E, certo, stupisce vedere che - come mostra questo grafico postato su byoblu - buona parte delle uscite del nostro Stato non sia finalizzata a coprire le spese di funzionamento dell'apparato, ma destinata a Fiscal Compact [per maggior info huffingtonpost.it] e Fondo Salva Stati [info - La Stampa], insomma a far sì che l'Italia e gli altri Stati del Sud Europa rientrino dal debito nei confronti del Nord.
Sugli esiti in ambito sociale ed economico delle politiche di riaggiustamento strutturale adottate in Italia dal 2012 e per i prossimi vent'anni rimando a questo articolo [byoblu].
Siccome in economia sono una zappa, ho chiesto chiarimenti a Giovanni, che è del mestiere.
Queste le sue opinioni.
Secondo lui il debito pubblico è in effetti stato accumulato nell'ultimo ventennio; ma lui ritiene che sia perlopiù e in via primaria dovuto a sprechi e inefficienze dell'apparato statale;
A dimostrarlo mi segnala che non è sostenibile l'economia di una nazione nella quale per 1 lavoratore privato [che produce] c'è 1 lavoratore pubblico [che non produce; non "che non lavora"; "che non produce"; non fatemi spiegare la differenza: lavorare nell'industria genera valore; lavorare nei servizi (pubblici o privati) ne assorbe]; la Grecia è a un rapporto 7 (privato) a 3 (pubblico) [più favorevole del nostro]. Ed è messa come è messa;
Inoltre è difficile non riconoscere che le amministrazioni pubbliche siano poco efficienti, seppure con differenziali di spreco notevoli tra una regione e l'altra [sulle folli spese e gli orrori del nostro sistema amministrativo rimando a rischiocalcolato, soprattutto per quanto riguarda l'analisi della situazione; sulle soluzioni non sono in grado di pronunciarmi];
La ricchezza mossa dall'economia sommersa è spropositata;
Mafie varie e criminalità organizzata hanno un PIL che è, da solo, 1/10 di quello dello Stato italiano;
La corruzione in Italia è altissima;
I Paesi del Nord Europa vendono non perché praticano dumping, ma perché sono efficienti e realizzano prodotti di qualità.
Da parte mia ho ben poco da dire. Non ho gli strumenti per valutare analisi della situazione e proposte di soluzione.
Sarebbe comunque interessante approfondire come è avvenuto che le deboli economie del Meridione si siano spappolate una volta integrate con l'aggressiva economia settentrionale. E quanto abbia giocato un atteggiamento puramente assistenziale - e poco votato a un reale sviluppo del Sud - da parte del Governo centrale nelle sue politiche verso il Mezzogiorno.
E come avvenga oggi che un analogo processo venga giocato tra Nord e Sud Europa.
Quanto alle soluzioni, cheddire?
Se ho ben capito, a livello macro Monti, PD e governi filoeuro, non prendendo in considerazione l'ipotesi di uscire dall'euro e di svalutare, per rientrare dal debito non possono che ridurre i costi del lavoro e gli investimenti dello Stato nei servizi ["dimagrimento" degli organici, efficientamento del sistema] e dismettere beni pubblici.
Bagnai e il fronte no-euro sono per un ritorno alla sovranità monetaria, la svalutazione della nuova moneta creata, il rilancio dell'economia italiana tramite vendita dei nostri prodotti all'estero in seguito all'abbassamento dei loro prezzi, cosa che dovrebbe poi rilanciare il mercato interno [più produzione, più occupati, più consumi, più entrate per lo Stato, più servizi].
In entrambi i casi resta da capire che cosa fare con quei mostri di tegole problematiche che sono l'economia sommersa [che aumenterebbe con l'aumentare della tassazione], la mafia, un reale sviluppo del Sud e delle altre aree periferiche italiane depresse.
Per quanto mi riguarda, nel mio piccolo la situazione è chiara.
Lavoro per aiutare soggetti del Terzo Settore e delle Istituzioni locali a trovare fondi per sviluppare in modo innovativo le proprie attività di punta.
Purtroppo, negli ultimi anni, enti e associazioni si sono rivolti a me chiedendomi, sì, di rilanciare le proprie attività, ma allo scopo di aumentare le entrare a sostegno dei costi di struttura, sempre meno finanziati dal pubblico.
Il problema è che se un ente o un'associazione non ha i soldi per pagare i costi di struttura, sarà in difficoltà a condurre le proprie attività istituzionali. Figuriamoci quelle per l'innovazione e lo sviluppo.
E se lo Stato ridurrà ancora i finanziamenti a favore dei servizi, ciao Mario...
È insostenibile lavorare per il cambiamento nel settore dei servizi in una fase recessiva.
Certo, il mio lavoro è utile: scrivere e accompagnare progetti che, p.e., contribuiscono a ridurre la dispersione scolastica degli studenti stranieri dal 50% al 10% ha un notevole impatto non solo sociale, ma anche economico.
Se si spende adesso per istruzione, non si spenderà domani in carceri o servizi per disagiati o disoccupati.
Peccato che questi benefici saranno verificabili - forse - sul lungo termine [10-20 anni].
Purtroppo - come si dice - gli antropologi sono in grado di valutare le ricadute di politiche e azioni in un arco di 50 anni, gli economisti di 5, i politici nell'immediato; il fatto è che io, da filosofo, tendo a valutare impatti sub specie aeternitatis; e questo, sotto il profilo professionale, non mi aiuta proprio.
Vabbe'...
Pazienza.
E sì che le cose, fino a giugno 2012, andavano anche bene.
Poi il tracollo.
Non posso permettermi di farmi mantenere dai miei genitori - come è successo negli ultimi sei mesi - per tappare i buchi di un sistema che, così com'è, non può più reggere e per evitare un tracollo che io non sono in alcun modo in grado di evitare.
Temo di non avere molte alternative: quest'anno ho in prospettiva di chiudere i progetti che ho in ballo [o di passare le consegne ad altri per quelli pluriennali], sperando di riuscire a mettermi da parte qualche soldo; e poi vedrò. Potrebbe anche essere che dal 2014 scriva gli aggiornamenti a questo blog dal Canada, o dalla Nuova Zelanda. Paesi così, insomma. Lontani da qui.
Non vedo molto bene la situazione italiana, eh?
Uno scenario "alla greca" non è poi così lontano.
2. El Perforàt
Lo nota Andrea dalla Maddalena, scendendo.
È una bella pala rocciosa sull'ampio versante Sud della Corna Blacca. Erbosa qua e là, pare. A occhio 200 m..
Il Guerz ha voglia di un finesettimana ingaggioso. Sì, è un disturbo di cui, talvolta, soffre.
Considerato che per l'invernale di misto che lui agogna io sono inadatto [zero competenze e zero materiale], un'apertura su una bella parete Sud - al caldo - potrebbe venire incontro a esigenze, disponibilità e capacità di tutti e due.
Partenza, come al solito, all'alba ["Ma perché ostinarsi a soffrire così? Freddo, buio... Non vedremo neanche la parete"].
L'avvicinamento è avventuroso: prima equilibristiche operazioni di discesa con il suo ingombrante fuoristrada ingovernabile su stradina sterrata e ghiacciata, imboccata nella vana speranza di risparmiare tempo e dislivello; e poi una camminata per bei boschi e gli scoscesi prati sul tormentato versante sud della Corna.
Bianco, giallo, verde, azzurro.
Una delizia per gli occhi, un po' meno per le gambe, impallate per la ripidissima salita, e i polmoni, ansimanti.
Arriviamo sotto.
A dx e in centro parete ci sono o fessure intasate d'erba [davvero da penitenza] o placche compatte inframmezzate a strapiombi a cubetti, inarrampicabili se non con una borchiatura industriale a fix.
L'unica linea percorribile con il poco materiale a nostra disposizione è il sistema di camini e fessure che, sulla sx, porta al buco del Perforàt e oltre.
La probabile via di Frignani e Facchi [guida TCI].
Ci portiamo alla base della fessura-camino iniziale.
Ne percorro i primi 15 m.; poi, entrato nell'antro vero e proprio e dopo aver dato uno sguardo in su [lato dx: placca verticale inchiodabile; lato sx: bordo strapiombante compatto; fondo: lame che si sgretolano solo a guardarle], toccati i ch all'imbrago ["Oh, ci fosse 1 univ.... Solo cunei e angolari; come attrezzo sosta con 'sta roba? E su roccia così inchiodabile?"], torno indietro.
Scendiamo non per i prati percorsi in salita, ma per l'ampio canale, sempre scosceso ma non a rischio "chilometro lanciato su erba secca", che ha inizio sotto la parete. Arrivare a fondovalle è una sofferenza per i galloni.
Per fortuna il cascinale alla deviazione per il passo di Fona è aperto.
Solo Andrea sarebbe capace di trovare birra, cibo e caffé, lì, in una cascina ristrutturata, sì, ma ai bordi di un rado bosco, in un posto che sembra non vedere uomini da decenni. Propone lui lo spuntino in totale relax prima di tornare a valle.
Mentre la pasta cuoce, sul quaderno di rifugio leggo di visite di scolaresche alla cascina già dal 1986 e fino all'altroieri.
Che strano...
I bambini che nel 1986 scrissero queste righe ora saranno diventati adulti.
Il tiepido sole invernale mi scalda piacevolmente le ossa, mentre le gambe peste per la discesa chiedono la misericordia di un po' di riposo.
Lo concedo loro; e a me regalo qualche sorso di birra gelida e due boccate di pasta scotta, che ingollo avido e meditabondo.
3. Anche le Donne...
L'anno scorso avevo snobbato la via: quanto vuoi sia interessante un itinerario tracciato per compiacere piacenti e sensuali, ma imbelli signorine?
Immaginavo gradi facili, chiodatura ascellare e, alle cenge, sdraio "vista lago" e compìti camerieri a mescere mojito.
Invece, niente.
Nemmeno, purtroppo, presenze femminili.
A parte L1, insidiosa per la presenza di blocchi instabili e da proteggere nonostante il "facile" III dichiarato sulla carta, più di qualche tiro è di vera soddisfazione; tra tutti il diedro grigio di L5.
Poco appagati dalla fin troppo rapida conclusione dell'itinerario, Giovanni e io ci lanciamo anche sul vicino "Diedro Baldessarini".
Altra musica: chiodatura alpinistica [svariati i cordoni di incerta tenuta e i ch anni Ottanta] e arrampicata entusiasmante su fessure e diedri tecnici.
Pur con un certo qual pathos per il "VI" poco turistico dell'itinerario e le protezioni non proprio a prova di bomba, saliamo - via via sempre meno agili - alla debole luce del sole al tramonto di questo brevissimo 1 gennaio.
Dicono che chi faccia una cosa il primo dell'anno, poi replichi anche per gli altri 364 gg.
Altri 364 gg di arrampicata...
Wow!
Che cosa?
Ma non volevo smettere?
Sì, volevo.
Però...
È che me lo ha detto il dottore: "Se vuole curarsi della malinconia che la assale al mesto spettacolo del nostro mondo in disfacimento, faccia alpinismus, sig. De Toni. Vadi, vadi..." [Sì, è vero; ha aggiunto: "Mi raccomando: cum grano salis, e non più di 1 v. al mese"].
E io non potevo che gradire la terapia.
Sempre meglio che lottare contro i mulini a vento, no?
E poi, tanto, per mandare per aria il fragile ordine del vivere civile, stanno già facendo del loro meglio quelli che ci governano.
Non hanno certo bisogno del mio contributo.
Faccio meno danni ad andarmene in giro per crode.
***
Soundtrack - Freedom Run
Kyuss - Blues to the Red Sun [1992]
Per me adesso è come se l'alpinismo non esistesse più.
Per noi il chiodo era sempre una profanazione della montagna.
Usavamo i chiodi per sicurezza;
e, prima di mettere un chiodo, era come se fossimo andati a confessarci.
È con il sistema di vita che la gente si rovina...
Una volta eravamo tutti più umani.
Oggi il contatto umano non esiste più.
Una volta c'era quel buon campanilismo fra amici;
ci volevamo bene;
eravamo tutti uniti;
la discussione era libera, franca.
La montagna è qualcosa di superiore:
è educazione fisica e morale.
"Biri" [Raffaele] Carlesso, 1971
Cit. in angeloelli
1. Tempo di bilanci
Non scrivo da un po'.
Dev'essere stato l'incidente.
Quando è capitato? In settembre? Ottobre?
Sì, è stato l'incidente: D. che, sul quarto tiro di "Popi in Azione" [Massarotto, Zonta] sulla Sud-Ovest della Prima Pala di san Lucano se ne viene giù di venti metri per la rottura di una scaglia, picchia il piede e se lo rompe malamente.
E il conseguente, acrobatico recupero in elicottero...
Queste due cose - dico - mi hanno tolto voglia di arrampicare.
E di scrivere.
E sì che, tagliando sull'esposto e spettacolare sistema di cenge che porta verso il fondo del boràl de la Besauzega lungo il sent. 765, fantasticavo che, forse, lei, la meno arcigna delle quattro sorelle, ci si sarebbe concessa senza troppo farci patire: finalmente un bel finesettimana di arrampicata pre-autunnale, senza le angosce dell'apertura, dei gradi alti, della roccia instabile, della chiodatura incerta, della possibilità di cadute lunghe e pericolose.
Avevo anche scoperto - sul fondo del boràl - la probabile causa delle mie visioni allucinate su quei desolati pendii mugosi: stuoli di psilocybe azurescens in piena "fioritura", celati alle avide mire di psychotripper postmoderni dai labirintici contrafforti baranciosi lucani.
Ne ho una certa sicurezza: ad aprire le porte della percezione, lassù, sono o le spore di humito o, in modo più diretto, le entità di cui esse sono messaggere.
Ma il nostro entusiasmo e l'allenamento di D. e Max [anche lui della partita], preparatissimi in seguito a un'intensa e bella stagione alpinistica, non erano bastati.
Dopo la pericolosa L3 [VI- alla Massarotto - diciamo pure "6b" - senza un ch], eravamo su L4: placca, tettino, obliquo e traverso a sx.
D. era fermo da un po': roccia delicata e serie difficoltà di protezione.
Poi un urlo, la larga scaglia che roteando se ne viene giù e precipita verso il fondo del boral, e, dietro di lei, D., col piede deformato dall'urto con la parete, avvenuto più sopra, ancor prima dell'entrata in tensione della corda.
Ero stato sbalzato verso l'alto dal contraccolpo dell'entrata in funzione del sistema di assicurazione. Tutto aveva tenuto, tranne un fr, appeso alla corda di D.
E poi lo stordimento.
Questa volta "Tutto bene?" era domanda sbagliata, assurda, fuori luogo.
"Niente bene".
"Chiamiamo il 118".
In meno di un'ora era arrivato l'elicottero che ci aveva recuperati e, dopo un roteante volo sulla valle di San Lucano, sontuosa nei suoi colori autunnali, ci aveva depositati su un ampio prato a fianco del Tegnas, a Col di Pra.
"Ultima volta, per me, quassù", pensavo tra il terrorizzato e il furioso, tornando a casa nel buio sull'auto di Max, dopo aver lasciato D. all'ospedale di Belluno.
Sì, ultima volta.
***
Un "in bocca al lupo" a D., socio di anni di vagabondaggi per le crode, per una ripresa delle attività quanto più rapida e completa possibile; un analogo "in bocca al lupo" a Max, anche lui infortunato a una spalla, per fortuna con conseguenze molto più leggere, durante una salita con le picche al Cimone della Bagozza.
E, soprattutto, grazie all'equipaggio del SUEM che, con coraggio, è venuto a recuperarci dai poco generosi fianchi della più piccola, ma non meno infida, delle quattro perfide, affascinanti, inconquistabili, sdegnose sorelle lucane.
2. Nostalgia di un friend
Non avrei mai detto che ne avrei avuta.
Ma ora, a 3 m dall'ultima protezione - un BD rosso, appunto, alla mia dx - alla base della cengia terminale di L4 della "Carlesso-Sandri" alla Sisilla, tra le mani gli ultimi gradini di roccia così così in attesa di alzarmi sul tratto erboso - i ciuffi di isìga sono inesistenti, bruciati dal fuoco di un recente incendio, e coperti di neve - ne ho.
Vorrei che il fr fosse più vicino.
E non così laterale: in caso di volo cadrei scomposto in pendolo verso dx.
Sotto il friend - di incerta tenuta - c'è un ch tutto smartellato e piegato contro la roccia; chi lo ha messo ha ritenuto necessario far aderire il più possibile alla parete l'occhiello del ferro, per evitare leve. Cattivo segno: è piantato poco.
3 m. più in basso c'è sottile ch a foglia, di sicuro piazzato da Biri in persona nel '34.
E io ho ancora negli occhi la caduta di D. in san Lucano.
Non è una bella situazione.
Sì, vorrei il BD più vicino.
Ma quello è laggiù, a 3 m..
Non posso stare qui per sempre: le mani, nella neve, mi si stanno intirizzendo.
Non potendomi tirare sui ciuffi d'erba [che, carbonizzati, non ci sono più], mi alzo spingendo sui piedi: dapprima sugli ultimi gradini di roccia sana, poi sul fango [per fortuna grasso e poco scivoloso] sopra le zolle.
Quindi un alberello.
Ancora zolle con neve.
E sosta.
Ok, anche questa volta è andata.
Come è che ci siamo cacciati in questo guaio?
Andrea sta leggendo la biografia di Casarotto, scritta dalla moglie Goretta. Ed è in vena di invernali impegnative. Alla "Casarotto", appunto.
È già tanto se sono riuscito a convincerlo a non salire "Cenere nel Vento" al Baffelan [siamo andati sotto la parete: era ancora carica della neve caduta ieri; e ogni tanto partivano piccole scariche].
Però almeno una "Carlesso" - con la neve, il bagnato, i sassi rotolanti, i ch lontani e marci - se la vuole proprio fare.
Sì, non aveva considerato l'isìga bruciata da un incendio.
Ma non si possono mettere in conto proprio tutte le componenti espiatorie di un penitenziagìte, no?
Altrimenti che penitenziagìte sarebbe?
Così, arrivati sotto la Sisilla, abbiamo attaccato una fessura protetta a fix a dx della partenza originale.
Poi, siccome L2 della "Carlesso" - camino/fessura - era davvero una lavanderia inscalabile, a me è toccata L2 della via moderna iniziata: muro appena strapiombante con chiodatura ottima, ma lunga e scomoda per i moschettonaggi. Tra timori e tremori vari [e appendendomi a ogni protezione] sono riuscito ad arrivare fino all'ultimo fix sotto la sosta. Poi, dopo mezz'ora di vani tentativi [placca cervellotica a piccole prese], mi sono dovuto arrendere e sono entrato con un pendolo a sx nel camino stonfo della "Carlesso": "Arrampicata sulle uova"[cit. Guerz], con uscita rannichiata facilitata da contorto, secolare bonsai rinsecchito di ginepro.
Impressionante e difficile il tratto di "VI" sotto il tetto di L3: tirati tutti i ch.
E continua e sostenuta L4, al punto che mi sono dovuto appendere alle protezioni un paio di volte [e su un VI].
Ok.
Va bene che da ottobre ho arrampicato poco. E va bene che, in parete, dopo l'incidente ho paura anche della mia ombra.
Però Biri sapeva davvero il fatto suo. Salire così, in parete aperta...
E, di sicuro, non avrà usato tutti i ch ora in via.
Leggende narrano di un suo volo di 20 m., forse proprio sulla Sisilla.
E di lui che ha continuato a fare alpinismo impegnativo anche dopo il grave incidente, fino ai 70 anni suonati.
Chissà che cosa voleva dire, quando diceva che la montagna è "qualcosa di superiore"?
Perché tornare a rischiare la pelle dopo un incidente grave e dopo aver già dato molto in gioventù?
Forse perché, davvero, in basso il "sistema di vita" "rovina le persone"?
Forse perché, davvero, quassù tutto è più semplice: fatica e riposo; caldo e freddo; pericolo e sicurezza; morte e vita?
E, finché si è quassù, poco importa del resto.
O, forse, perché - davvero - abbiamo da ripagare qualche debito del passato [debiti reali, dovuti a malefatte; non soldi virtuali, finti che dobbiamo restituire noi per le strampalate alchimie finanziarie di altri]; e, patendo così, ce ne liberiamo?
E per questo, quassù, stiamo meglio.
Chi lo sa?
Buon Natale e un - per quanto possibile - sereno 2013 ai pochi che passeranno di qui.
PS - Un sentito "grazie" a Stefano Dallera per i costanti inviti ad ampliare il mio limitato orizzonte musicale.
***
Soundtrack I - Futurism vs. Passeism Part 2
Blonde Redhead - In an Expression of the Inexpressible [1998]
***
Soundtrack II - Sleep
Goodspeed You Good Emperor - Lift Your Skinny Fists Like Antennas To Heaven [2000]
Karma police
I've given all I can
It's not enough
I've given all I can
But we're still on the payroll
Radiohead, Karma Police,
Ok Computer, 2006.
1. Etica alpinistica situazionale [www.fupress.net]
Il finesettimana si apre con la notizia, per me interessante, che quest'estate Giordani e soci hanno aperto un itinerario alpinistico - la "Via dei Sei Pilastri" - con impiego di fix sul Piz Serauta, in Marmolada.
Non più tardi di 10 anni fa un'apertura simile sarebbe stata considerata come una bestemmia in chiesa, al punto che una via tracciata da una cordata bresciana su una parete ancor più intoccabile [la "Parete d'Argento", Punta Ombretta, attraversata da linee mitiche come il "Pesce"], era stata borrita dall'intera comunità rampicante italiana in uno dei thread più lunghi apparsi sull'allora vitale forum di planetmountain [chi ha pazienza può leggersi qui il susseguirsi frenetico dei vari interventi; a chi proprio interessasse io sono VYGER].
L'itinerario ["La Spada nella Roccia"] alla fine era stato schiodato.
E Giordani, nella sua guida "Marmolada. Parete sud" aveva riservato dure parole agli apritori.
Ebbene...
Quando leggo della nuova via di Giordani in Serauta, mi si obnubila la luce della ragione. E, incapace di trattenere le dita colte da irritante, irrefrenabile, vendicativo prurito, scrivo la mia su un thread analogo, apparso sempre su PM a commento dell'apertura della nuova via e consultabile qui.
Se c'è una cosa che mi infastidisce, è la pretesa che a chi è forte sia - per partito preso - tutto permesso.
Ma, alla mia età, dovrei aver capito che, come scrivo nel mio post, al mondo a decidere sono i potenti, oi keirodìkai [coloro che tengono la giustizia nelle loro mani, come avrebbe detto Anassimandro - ww.parodos.it]; e gli altri si adeguano.
E poi penso che anch'io, in apertura in Concarena, quando mi sono trovato alle strette, ho piantato uno spit.
"Chi è senza peccato scagli la prima pietra", disse una volta un tale. E non era uno qualunque [Gv 8,7].
2. Nei guai, o "Di necessità, virtù" [Ex Ananke, Dike]
Ormai dovrei anche aver imparato che, quando Andrea dice "Andiamo ad aprire una via facile. Massimo V+", intende "V+ con - qua e là - tratti di VII].
In una sua recente esplorazione in Concarena il Guerz ha tracciato con Dario un nuovo itinerario sulla parete S del Fungo di Ladrinai [top. proposto], un anonimo picco sull'altrettanto anonima cresta opposta alla parete NE dei Gölem, di un certo interesse per la buona qualità della roccia e per l'elegante cuspide a fiamma in cui si esaurisce.
La salita che Andrea vorrebbe vendermi questa domenica è sulla parete E; lui mi propone o un profondo camino seguito da una rampa e, per questa, alla cuspide; o [var. a dx], un diedro più aperto che si esaurisce sempre alla base della rampa in questione. Poi come sopra.
Optiamo per la prima linea.
Con noi abbiamo pochi ch [a fine stagione Andrea sta terminando le sue scorte di ferraglia; e io non ho soldi per comprarne], nut e fr; e cordini a gogo, derivanti dalla tragica fine di una mia mezza corda ormai da rottamare.
Parte lui.
A 2/3 del camino, poco prima del tratto strapiombante del camino, si ferma: le corde fanno troppo attrito.
Il mauvais pas d'uscita dal budello toccherà a me.
Odio fare passi chiave in antri oscuri al secondo tiro, quando non mi sono ancora scaldato.
E, in genere, odio fare passi chiave in antri oscuri.
Diciamo pure che odio fare passi chiave tout court.
Ho una certa età, ormai.
Avrei anche il diritto di piantare spit dove necessario, per salvarmi la spina dorsale. E di lasciare campo a più giovani e ambiziosi alpinisti, perché si armino, loro, e partano.
Ma partirò io: tocca a me...
La prima protezione sul tiro, un cordino attorno a una clessidra formata da una strettoia della fessura di fondo, mi costa pene inenarrabili, causa lo stretching inusitato di anche, spalle e collo incastrati alla bell'e meglio nello stretto camino per star su a mani libere.
Quindi, ansimando, ma con una certa agilità considerata l'ora mattutina e la rigidità delle mie vecchie articolazioni, riesco a portarmi sotto il minaccioso strapiombo che chiude l'antro.
E adesso?
Come ne esco?
Oltre l'ultimo fr piazzato [un ottimo BD 1, troppo basso per essere usato in artif.], non riesco a mettere nessun pezzo degno di questo nome: lo strapiombo nella parte inferiore è a blocchi, all'apparenza instabili. Quindi niente ch.
Un BD 3,5 in una fessura scampanata sopra ci starebbe.
Lo piazzo, ma non lo tiro: non ha l'aria di tenere molto.
Per testare almeno il BD 1, mi ci appendo e lo carico: Sì, almeno lui è buono.
Poi, rassegnato, faccio un ultimo sospiro e vado, in libera: non c'è alternativa.
Presa buona a dx.
Su i piedi.
Svaso a sx.
Spaccata.
Spingi a sx, verso il canalino d'uscita.
Fuori.
VII+, qualcosa del genere.
L'euforia da scampato infortunio mi ringalluzzisce.
E un'idea malsana mi inizia a germinare nel subconscio: considerato che il grosso delle difficoltà dovrebbe essere alle nostre spalle e che sulla parete ci sono mughi e clessidre ovunque, perché non aprire una via, oltre che senza spit, anche senza ch?
3. Guai alpinistici situazionali
In due ore e cinque tiri siamo quasi in vetta.
Fin qui la via non è niente di che: dirittura della linea a parte, la roccia è abbastanza solida, ma vegetata e poco proteggibile dove non fessurata.
Alla base del muro terminale, compatto, ci siamo portati sul versante Sud sotto la fiamma, che è strapiombante e senza segni di cedimento anche su questo versante.
Andrea propone di lasciarla perdere e di puntare a un pinnacolo appena a Ovest sulla linea di cresta, ancora inscalato.
Ma la soluzione mi piace poco: dovremmo tagliare L5 di "Fonzies"; e questo - da che il mondo alpinistico è mondo alpinistico - non si fa, anche se a proporlo è uno degli apritori.
Io suggerisco di restare sul nostro obiettivo obliquando a dx, aggirando uno spigolo e tornando sulla parete E.
Sembra che sopra una cengia, là dietro, la parete si appoggi.
Vado a vedere.
Supero un breve muro a gradoni con blocchi, aggiro lo spigolo e mi porto sulla cengia.
Guardo in su.
Sì, la parete in alto spiana, ma lo fa dopo uno strapiombo di 3 m.
Scemo.
Io.
E la mia ottusa coerenza.
Adesso tornare indietro sarebbe complicato: dovrei pendolare a sx di 7 m. con un dislivello di soli 5 m. e lasciare in parete i 5 fr finora piazzati [in tutto fanno circa 300 euro, di Andrea; e io sono al verde].
Manovra improponibile.
Forse meglio farmi calare di 30 m., alla rampa appena salita, e tornare in sosta.
Però i 300 euro resterebbero in parete.
Calma.
Un ch ci sta?
Provo un universale: affonda poco. Un lost arrow? Troppo grosso; aprirebbe l'unica fessura in grado di accoglierlo.
Ah, che cosa darei per il bulino e uno spit...
Faccio un primo tentativo e torno indietro: la placca sopra è una lastra.
Mi riposo e torno su; poi ridiscendo: se su non ci sono prese, vengo giù; e, se vengo giù, nella migliore delle ipotesi mi faccio un volo di 5-6 m. su terrazzino [Caviglie andate? Frattura a qualche paio di vertebre?].
Nel caso peggiore strappo i due ultimi fr...
E altro che giravolta: prima cado nel vuoto; poi, man mano che, sotto il mio leggiadro peso, fuoriescono gli altri fr, vengo portato dalla forza centrifuga verso l'appoggiato versante S e mi infrasco non troppo morbidamente tra le mughere, con conseguenze difficili da prevedere.
Non sarebbe una gran consolazione - né per Andrea, né per me - il fatto che così, probabilmente, lui salverebbe i suoi 300 euro...
Di nuovo, scemo.
Io.
Inutile: l'unica via d'uscita è verso l'alto.
Nella mia ultima ricognizione ho scoperto due appoggi per i piedi e due prese piccole, ma nette per le mani.
Sì, forse così si può fare.
Riparto.
Supero lo strapiombo [a maniglie generose] e prendo le due piccole prese nette.
Alzo i piedi.
Ok, sono in equilibrio: non devo più tirare di braccia; adesso posso ragionare.
Vedo un banchetto, forse buono, a dx.
Allungo la mano.
È buono.
Di nuovo su i piedi.
Altra isola di sicurezza.
Un secondo muretto da superare [poco per i piedi, prese decenti per le mani] si frappone tra me e una fessura sotto un poco accennato strapiombo, dove potrei sistemare un buon fr.
"Allora, sei in salvo?", fa Andrea.
"Tra poco."
Salgo e piazzo il BD 3,5.
Quasi salvo.
Adesso la parete si abbatte, ma come appigli offre solo i margini superiori di lame che rimbombano.
No buono.
Respiro a fondo. Le lame più grosse e incastrate in quelle sottostanti dovrebbero tenere meglio.
"Quella sì, quella no".
Prendo "quelle sì" e mi alzo fino a 2 m. dall'uscita.
Alla mia dx c'è una hollow flake.
Forse un nut infilato qua - pur di scarsa tenuta - mi darebbe il coraggio morale per uscire dalla placca e raggiungere lo spigolo di fine pilastro.
Peccato abbia dimenticato in sosta i nut.
Pazienza: bd 0,25 nella fessura, stile nut. Va bene lo stesso. Tanto è psicologico: basta vedere le corde scorrere in qualcosa che assomigli a una protezione, no?
Mi alzo.
Sono all'inizio della breve, sottile, crestina terminale.
Vedo la sosta di "Fonzies", attrezzata con uno spezzone della vecchia mezza corda rosa di Dario.
Ma per arrivarci devo portarmi sulla cresta, sottile e friabile, e muovermi sul suo filo come camminando su una lama.
Ancora, non riesco a proteggermi.
Vabbe'...
Con cautele da orologiaio salgo sulla friabile lama spartiacque - le corde smuovono pietre - e punto al rosa dell'ex mezza di Dario.
"Sosta!", urlo.
"Sai che l'ultimo fr era inutile?", fa Andrea, quando arriva.
"Sì, ma speravo lavorasse da nut", ribatto.
Ormai è andata: discussione inutile, questione chiusa.
Ci caliamo.
4. At the end
Via eticissima: gnac en ciot.
E l'è a 'n tir de s-ciop de la cità.
Ma credo che non sarà molto ripetuta: troppo rustica e poco sicura per gli attuali standard di interesse alpinistico.
Sì, meglio la "Via dei Sei Pilastri" di Giordani.
È in Marmolada.
E almeno, lì, qualche fix sui tiri - qualche vaga consolazione da presenza di umana civiltà - si può trovare.
E poi - vuoi mettere? - ti ci dedicano i thread su planetmountain.
***
Soundtrack - Karma Police
Radiohead - Ok Computer [2006]
***
Nella foto - Il Fungo di Ladrinai; "Tra Classico e Moderno" sale... hem... dietro il larice di dx [ph guerza].
1. Cielo e terra
E se la progressione di cordata non fosse che uno degli infiniti esempi di ciò che i taoisti chiamano dao [info wikipedia] o via?
Nella visione degli antichi contemplatori cinesi il mondo sorge per la tensione polare tra cielo e terra; e ogni essere è al suo meglio - vive il "senso" - solo se si muove lungo il sottile, fluttuante asse di equilibrio che si crea tra forza [cielo: agire, muovere, riardere] e spazio [terra: essere, stare, giacere].
Se così fosse, ripetere un itinerario richiederebbe di seguire le tracce di un flusso intuito da altri nell'attrazione-repulsione tra la parete, con le sue mille asperità, i suoi anfratti, le sue articolazioni e l'uniforme, compatto azzurro del cielo, mosso solo dalle ondate ora chiare ora scure delle nuvole.
Aprire una via è diverso; ed è più impegnativo: si tratta di intuire da sé questo flusso, senza seguire le tracce di altri; e questo comporta un avanzare tutt'altro che fluido; anzi, spesso accidentato e faticoso: un andirivieni, un cercare ora di qua, ora di là, ora sbagliando, ora retrocedendo, ora cadendo.
Sarà che siamo poco compatti noi?
2. Dove?
Il pilastro "Beppe Chiaf" [toponimo proposto] è un evidente, imponente torrione dalle fattezze sarchigene alto circa 250 m. all'inizio di una linea secondaria di cresta a orientamento NE-SO diramantesi dalla dorsale principale [a orientamento Est-Ovest] della Concarena, a SO rispetto a Natù.
Spero che Andrea pubblichi quanto prima le foto. Così posso mostrare qual è.
E tutti diranno. "Ah, era quello...".
Anche perche in internet non riesco a trovare i nomi dei vari appicchi lungo la frastagliata cresta concarenitica di cui sopra.
Comunque, camminando lungo il primo tratto del sent. per il Toc de la Nef il torrione è riconoscibile per il suo strapiombante versante SE, tagliato da svariati diedri, il principale dei quali va a morire sotto un grande tetto triangolare, il nostro primo obiettivo.
Dopo un mio lungo volo e un ulteriore tentativo di Andrea, conclusosi con una calata per la cattiva qualità della roccia, abbiamo optato per il bel diedro di circa 60 m. [solo in apparenza inclinato] appena alla sua dx.
L'attacco si raggiunge da Natù.
Imboccato il sentiero per il Toc de la Nef, lo si abbandona quasi subito per puntare verso il torrione, evidente, cui si perviene per rado bosco e faticosi ghiaioni. Il primo tiro di "Fuga da Alcatraz" sale l'evidente diedro nero inclinato che taglia da dx a sx lo zoccolo basale [segnavia: cordone arancione avvolto attorno al tronco di un albero alla sua base e cordone rosso incastrato nella fessura di fondo del diedro] [30' da Natù].
3. La via
L1 - Salire il diedro nero lungo la faticosa fessura al suo fondo [VII]; poco prima che questa si intasi di erba e tronchi secchi piegare a sx [ch - VII+ o Ao] e proseguire lungo lo spigolo appena a sx del diedro [VI]; per rocce rotte, isìga e camino [IV] si raggiunge la cima di un tozzo pilastro [45 m. - VII+ o VII-/Ao]. Sosta su spuntone.
L2 - Breve placca sopra la sosta [VI-], corta fessura strapiombante [VI] e placca in obliquo a sx [VI-] puntando a un lungo diedro giallo e grigio inclinato a sx [riconoscibile per un blocco appoggiato sul suo fondo a 2-3 m. dalla sua base]; 1 lametta di protezione da qualche parte a dx nella nicchia appena prima del suo inizio; salire il diedro con bella arrampicata tecnica, su roccia prima delicata [VI], poi buona [2 ch - VII, 1 p.]; per evitare eccessivi attriti di corda meglio sostare a un ch con cordone poco sopra un terrazzino [necessaria 1 lametta per attrezzare il punto di fermata] [35 m. - VII].
Traversando a sx [spigolo e diedro - VII/VII+] si arriva alla base del gran diedro di sx, nostro primo obiettivo, poi abbandonato.
L3 - Continuare sopra il punto di fermata lungo il diedro, ora nero, [1 BD 0,5 - viola - in buco come salvasosta], seguendone l'andamento verso dx [VII- - 1 ch]; a una nicchia [1 ch] traversare ancora a dx per placca delicata [VI+/VII-] fino alla sosta alla base del gran diedro di dx [2 ch] [25 m. - VII-];
L4 - Continuare lungo il diedro prima inclinato [VI-], poi strapiombante [5 ch] [VII/A1 o VII+], quindi verticale [VII], ma sporco e vegetato; sosta scomoda su cengia inclinata, a dx [2 ch] [30 m. - VII/A1 o VII+].
L5 - Tornare a sx e proseguire lungo il fondo del gran diedro con faticosa arrampicata [2 ch - VI+/A1 o VII+] fino a un mugo [3 ch], al quale si piega a dx aggirando uno spigolo; per parete rotta e breve camino si raggiunge la sommità del pilastro alla fine del diedro; sosta su ch e mugo; disporre bene le corde lungo il tiro per evitare eccessivi attriti [30 m. - VI+/A1 o VII+];
L6 - Diritti per rocce rotte e bella placca appoggiata fino a una zona di mughi dove la parete si abbatte; lasciare sulla dx i cordini di una sosta di calata tra i baranci e proseguire a sx per canalini e rocce facili fino a una delle molte macchie di conifere striscianti presso cui si attrezza sosta [50 m. - V/V+];
L7 - Per la linea di minore resistenza si obliqua a dx fino alla base del facile, rotto camino terminale che si segue pervenendo alla forcella di vetta; sosta su 2 ch [55 m. - IV]. Magnifica la vista dalla cima: due slanciati campanili proprio sul retro della torre, pareti e pilastri a Est e la grandiosa bastionata della Concarena a Ovest.
4. Calate
1 - Da S7 fino alla calata attrezzata tra i mughi di cui sopra, appena a dx della verticale [58 m.];
2 - Dalla calata su mughi a S6 [25 m.];
3 - Da S6 a S4 [50 m.];
4 - Da S4 a terra [60 m.]
***
Soundtrack - Threads
Portishead - Third [2008]
***
Nella foto - Andrea ha pubblicato le immagini. Il pilastro "Beppe Chiaf", più sopra in versione mignon e qui a risoluzione più dignitosa [ph guerza].
1. Il lavoro cade a pezzi
Avrei dovuto prevederlo.
In una fase di recessione economica lavorare per guadagnarsi da vivere scrivendo progetti in co-finanziamento per scuole e soggetti del terzo settore che, di soldi, ne hanno pochi è insostenibile, almeno a medio termine. Infatti, specie se la fase di debolezza è strutturale come quella attuale, per quanto si ottenga il finanziamento dal donor, ben presto i richiedenti si ritroveranno del tutto senza fondi propri che non siano per le attività ordinarie; a questo punto il finanziatore sarà costretto a ritirare il proprio contributo e a porre fine al progetto; e il mio lavoro e relativo compenso andranno in fumo.
Quattro azioni [su quattro] che sto seguendo come progettista sono in queste condizioni.
Confortante.
Per questo ho passato tutta l'estate a tentare di salvare le azioni intraprese e cercando fonti alternative - e legittime - di reddito.
Con alterni risultati.
E, propter hoc, non sono nemmeno riuscito a fare alpinismus come avrei voluto: sono giù di forma in modo preoccupante.
Magari il 7a in falesia mi riesce anche.
Ma ho al massimo 5 tiri di autonomia.
Non ho certo il fondo per fare il "Philipp-Flamm" o il "Casarotto", come vorrei.
Sotto sotto lo so, ma non voglio ammetterlo.
Neanche a me stesso.
2. Casarotto o Philipp?
We stratosferico, il prossimo: freddo di notte, ma sole splendido di giorno.
Ralf e Dario sono per le Pale.
Andrea per la Nord-Ovest.
Io tituberei a seguire il Guerz: la settimana scorsa è piovuto molto. E i camini saranno stonfi.
Ma Andrea dice che il rifugista gli ha detto che c'è anche Baù in parete, su una via nuova; e che i camini sono a posto.
"Vatti a fidare dei rifugisti", penso in sottotraccia. Mai chiedere a un oste se il suo vino è buono: l'interesse di un rifugista, soprattutto in periodi di magra come questo, è di far affluire clienti al rifugio, non di supportare gli alpinisti nei loro progetti.
Però...
Metti che davvero...
E poi questa potrebbe essere l'ultima occasione di quest'anno; tra due settimane le giornate saranno corte; e le temperature basse.
3. Stop a L15
Alla fine i camini sono davvero bagnati.
Alle 6:30, quando abbiamo attaccato, eravamo troppo sotto la parete per vedere le colate nere tagliare la sezione chiave dei gialli.
Ma adesso, alla partenza di L14, si vede.
E si tocca.
È indubitabile.
Qui è tutto stonfo.
Finora siamo saliti abbastanza rapidi, io davanti su tutti i tiri con l'idea di passare il testimone ad Andrea da metà in avanti, quando di sicuro io - non allenato - patirò stanchezza e quota.
Però riusciremo a procedere veloci anche sui camini strapiombanti che grondano acqua?
La tentazione di dire ad Andrea di scendere è forte.
Ma almeno un tentativo va fatto.
Parto.
Dopo 6 m. sono già in allarme rosso.
Sono incastrato per bene nella prima strettoia del camino, davanto al naso il ch "anni Cinquanta" che ho appena moschettonato.
Ma non riesco a capire come muovermi.
I due lati del camino sono compatti, lisci e slavati; all'esterno, sulla dx, la roccia è friabile.
A sx ci sono buone lame. Ma non riesco a raggiungerle perché, incastrato come sono, do loro la schiena.
Inoltre è tutto bagnato e fangoso.
L'acqua passa lo spolverino e mi inzuppa tutto. E quando tento di puntare i piedi sugli appoggi viscidi, le scarpette - swishhh - sfuggono in direzioni imprevedibili.
Ma chi me l'ha fatto fare?
Faccio un paio di tentativi strisciando nel camino. Non funge.
Non resta che l'arrampicata esterna.
Mi affido a due piccole prese oblique per le prime falangi delle dita e sguscio fuori dalla larga fessura, i piedi puntati in precaria spaccata.
Ci sto.
Ma ora devo andare a sx, alle lame.
Ok, spallata, dülfer e piede alto a sx.
Allungo la mano sx.
Lama presa.
VI?
Mah...
Ho fatto 6c più facili in falesia.
Mi alzo ancora e, appena posso, mi ri-incastro sul fondo del camino per riposare.
Soffio come un mantice, le energie al lumicino.
Sarà così per tutto il tiro: sequenze a incastro nelle quali mi inzuppo fin nelle mutande, ampie spaccate su appoggi bagnati, manettoni come acquasantiere e strizzate di dita su prese fangose.
Arrivo in sosta stravolto.
Non so quanto potrò durare.
Recupero Andrea e riparto.
I 30 m. del tiro successivo sono una lenta, progressiva agonia.
Esco in placca a sx, rientro a dx nella fessura, in questo tratto dall'aspetto macilento, e mi porto sotto il caminetto terminale del tiro.
15 m. sopra si vede l'inizio del famigerato traverso di VI+.
Per fortuna qui è asciutto.
Faccio 3-4 tentativi dritto.
Ma non ne ho più: tengo ma non riesco a strizzare come dovrei le piccole prese svase all'uscita del camino; mi arrendo e ridiscendo [sempre in libera; e chi si fida dei ch?] ad aggirare la strettoia a sx per lama orizzontale, breve fessura-diedro e placca.
A causa degli attriti arrivo in sosta trascinando le corde come un mulo aggiogato a un carretto troppo pesante.
Ho le dita talmente cotte che non riesco nemmeno a recuperare.
Andrea urla: "Senti, ma... Non pensi sia il caso di scendere?"
Sono le 13:00.
Ci mancano ancora dai 20 ai 25 tiri [a seconda delle relazioni].
Io avrei bisogno di almeno 3-4 ore per riprendere le forze.
E non abbiamo attrezzatura da bivacco.
Se non usciamo - come sarà probabile, considerato che anche i camini terminali saranno stonfi - dovremmo passare la notte da qualche parte a 3.000 m, con temperature di 0° o giù di lì. Assideramento quasi certo. Domani sarebbe difficile scalare.
A quel punto dovremmo farci recuperare.
Non se ne parla nemmeno.
Giù, per la seconda volta.
Doppie.
4. Scaliamoci - 20 settembre 2012
Segnalo l'iniziativa ampiamente pubblicizzata in altre sedi [cfr. AISM Brescia e planetmountain, ai quali rimando per maggiori info], organizzata da AISM Brescia, sostenuta da CAI, CAAI e "Ugolini", patrocinata dal Comune di Brescia e prevista per giovedì 20 settembre h 20:30 c/o Auditorium San Barnaba, P.tta A. Benedetti Michelangeli, Brescia.
Se desiderate sapere qualcosa di più di AISM e conoscere persone in gamba che hanno da raccontare esperienze che vale la pena ascoltare, vi invito a partecipare.
Sì, tra gli alpinisten ci saranno Claudio Inselvini [bresciaoggi] e Giacomo Stefani [www.clubalpinoaccademico.it - www.angeloelli.it] a parlare il primo delle sfide poste dall'ignoto e il secondo di rapporto di cordata [a me il compito di raccontare il senso del "durante"].
Però noi presenzieremo la tavola rotonda per lo più per dare spazio a Roberta Amadeo [gipar.altervista.org], Gloria Cavalleri [socia AISM Brescia], Manuela Bertolino [presidente AISM Brescia], Gianluigi Colleoni [past presidente AISM Brescia] e alle loro storie [intervista video a Manuela e Gianluigi qui - teletutto].
Che cosa significa "ignoto", "paura", "sfida", "senso", "relazione significativa", "vita associativa" per una persona con sclerosi multipla?
Belle domande...
Certo, ha un che di rischioso ed equilibristico mettere a confronto due situazioni di vita tra loro molto distanti: come scrive Claudio nella sua intro su PM, un alpinista sceglie la grenzsituation (situazione-limite; il rif. è al pensiero di K. Jaspers - wikipedia - filosofico) della parete, mentre una persona con sclerosi si trova a subire la propria condizione.
Inoltre può essere straniante confrontare l'esperienza di chi [le persone con SM], per effetto di processi organici autoimmuni di origine poco chiara che vanno a modificare la capacità di risposta delle fibre nervose, spesso ha difficoltà a muoversi con chi ha l'opposta propensione a muoversi molto, forse troppo.
Però forse la nostra esperienza, proprio perché così diversa, ha qualcosa di significativo da dire sulla loro.
E la loro sulla nostra.
E del resto non è proprio la situazione di limite, di scacco, per noi - alpinisti e persone con SM - più che per altri tangibile, ad accomunarci?
Così come la ricerca di un suo superamento.
Ok.
Stiamo vedere che cosa ne salta fuori.
***
Soundtrack - Girl I Love You
Massive Attack - Heligoland [2010]
I sensi si recarono dal padre, Prajapati,
e dissero: "O venerabile, chi di noi è il migliore?''.
E [quello] disse loro:
"Quello per la mancanza del quale
il corpo apparirà in condizioni peggiori,
questo è il migliore tra voi".
La parola allora se ne andò.
Stette via un anno, tornò e chiese:
"Come avete potuto vivere senza di me?".
"Come muti, che non parlano,
[ma] respirano con il respiro,
vedono con la vista,
odono con l'udito,
pensano con la mente".
"È vero", disse la parola e rientrò.
Se ne andò allora la vista.
Stette via un anno, tornò e chiese:
"Come avete potuto vivere senza di me?".
"Come ciechi che non vedono,
[ma] respirano con il respiro,
parlano con la parola,
odono con l'udito,
pensano con la mente".
"È vero", disse la vista e rientrò.
Se ne andò allora l'udito.
Stette via un anno, tornò e chiese:
"Come avete potuto vivere senza di me?".
"Come sordi che non odono,
[ma] respirano con il respiro,
parlano con la parola,
vedono con la vista,
pensano con la mente".
"È vero", disse l'udito e rientrò.
Se ne andò allora la mente.
Stette via un anno, tornò e chiese:
"Come avete potuto vivere senza di me?".
"Come sciocchi che non pensano,
[ma] respirano con il respiro,
parlano con la parola,
vedono con la vista,
odono con l'udito".
"È vero", disse la mente e rientrò.
Ma quando il respiro volle allontanarsi,
si trascinò via gli altri sensi,
come un forte destriero
trascinerebbe via i pali delle pastoie.
Essi si raccolsero a lui d'attorno e dissero:
"O signore, ritorna!
Tu sei il migliore tra noi, non andartene!".
[...]
Per questo i sensi non sono chiamati
"parole" o "viste", o "uditi" o "menti",
bensì sono chiamati prana (= respiro e senso).
Il respiro infatti è
[il fondamento di] tutti questi.
1. In cui si pone la domanda se le hollow flake tengano un volo su friend
Domenica 19.
Con Ralf decido di salire alla Cingla, la bella parete sopra la Val Danerba sulla quale G. Tameni ha aperto due itinerari, il primo in ricordo di G. Rossetti e il secondo, più tranquillo, in onore del vento che, lassù, caldo o freddo, soffia sempre.
Nostra meta è la via dedicata al mio volubile compare del mondo di là: Ralf ha già salito l'altro itinerario, molto più impegnativo.
Saliamo rapidi l'infido zoccolo, che - non fosse per il granito - potrebbe starsene benissimo sopra il torrente Tegnàs e scampiamo - non so bene come [Esperienza? Culo? Volontà divina?] alle mille insidie posteci dalle corde fisse, dall'isìga matura [e dalla sua più infida sorella dagli steli verdi ma morbidi di cui ignoro il nome], dalle vipere, dalla traccia incerta, dalle cenge che danno sul nulla, dal vento.
Sì, anche da lui.
Arriviamo all'attacco: un fix bronzato alla base di un bel fessurino sprotetto segnala la partenza.
Ralf lascia a me l'onere.
Alla base della seconda parte della fessura - una hollow flake [letteralmente "scaglia infida, o vuota", nel nostro caso una lama di granito spessa circa 3 cm e in progressivo assottigliamento verso l'alto, che si flette un po' a caricarla] - piazzo un Ande 3 di protezione.
Ho ancora 4 m. per arrivare al primo fix, che Tameni ha piantato con perizia in mezzo a una placca poco sopra l'esaurirsi della fessura.
Siccome, in caso di volo, rischio di finire sulla cengia su cui mi sta facendo sicura Ralf, e considerato che moschettonare il fix ha tutta l'aria di essere una bella rogna, un po' più in alto nella hollow flake piazzo uno dei microfriend di Ralf.
L'attrezzo, trazionato come da manuale a mo' di test di tenuta, fa uno "strock" poco rassicurante [e la lama ondeggia un pochino, alla trazione], ma sembra fare il suo lavoro.
"Non so se è buono", dico a Ralf. "La fessura è a espansione".
"Vai, vai; regge", fa lui.
Se lo dice Ralf...
Però non mi fido.
Riparto titubante, salgo sotto la placca e, dopo svariati, inutili tentativi in libera, mi slancio e inserisco al volo il moschettone nel fix.
Riposo.
Faccio 3 tentativi prima di passare.
Sulla carta avrebbe dovuto essere VI+/VII-...
Mah...
Diavolo di un Tameni...
2. In cui si risponde negativamente e in via definitiva - su base fattuale - alla domanda di cui sopra
Domenica 26.
Ieri è arrivata "Beatrice", secondo i meteorologi la tempesta perfetta di fine estate.
A dire il vero in città non ha fatto un granché: qualche folata di vento, due gocce di pioggia sulla terra inaridita, una temperatura appena meno torrida del solito.
Però la perturbazione impone cautela: niente vie impegnative, tanto meno se lunghe.
Meglio aver finito prima delle 15:00.
Non si sa mai.
Andrea mi propone di andare a dare un occhio a una struttura sulla quale sembrerebbero non esserci ancora linee, in un posto che al momento non posso rivelare per motivi di segretezza.
"Facciamo 7-8 tiri per la linea più facile, a scopo esplorativo, e torniamo a casa presto", mi tenta.
Vada.
Però lo convinco a partire alle 5:00, anziché alle canoniche 4:00 [metti caso che Beatrice non abbia ancora finito con le sue cose e che, all'alba, ancora piova].
Arriviamo al campo base verso le 7:00.
Umido in terra, ma cielo pulito.
Forse Beatrice se n'è davvero andata.
Ci carichiamo del solito armamentario [corde, ch, fr, nut, cordini; no, niente spit] e partiamo verso il nostro picco segreto.
Sul sentiero il Guerz adocchia un bel pilastro strapiombante di circa 300 m. su cui avevamo deciso di mettere le mani, ma non oggi.
"E se andassimo a fare un giro là sopra? È strapiombante: se piove, non ci bagnamo".
Lo sapevo: addio domenica di relax.
Però, in effetti, da sotto si vede una bella linea classica: diedro stretto inclinato verso sx, diedri e rampe più aperti, diedrone, grande tetto aggirabile [speriamo] sotto, in traverso verso dx, fessurone, pilastrino conclusivo.
Improbabile che oggi la finiamo. Però 3-4 tiri ci stanno.
A pari e dispari questa volta vinco io.
Quindi parte Andrea, che si spara la prima lunghezza - diedro nero fessurato - in 1 ora e mezza di dura lotta con l'Alpe. VII+, qualcosa del genere.
Poi tocca a me: un'esile linea tra diedretti verticali sembra portare alla base del gran diedro sotto il tetto.
In obliquo a sx, per placche. Peccato per l'erba e il fango, che rendono davvero poco piacevole la progressione.
E poi qualche mega-blocco instabile, qua e là.
Primo diedrino, fr, fr, nut, ch, ch.
Sì, qui La roccia è ottima; ma le difficoltà si alzano.
Altro ch.
Lo pianto bene.
Una discreta pista di prese sembrerebbe consentirmi di tagliare in diagonale il tratto finale di un secondo diedro [a sx del precedente, strapiombante e non scalabile nella parte bassa] e di portarmi alla base del gran diedro sotto il tetto.
Il passaggio sarà ostico.
Ribatto il ch più volte.
Voglio assicurarmi che la protezione sia buona.
Poi traverso a sx, arrivo a una nicchia sospesa e tento di attrezzare sosta; sarebbe ora.
Ma ho finito i ch buoni; e a fr non si riescono a piazzare ancoraggi solidi.
Non mi resta che ripartire: placca strapiombante articolata e zona a blocchi.
Piazzo 2 fr [1 climbing technology di misura medio-piccola di recupero e un BD 3] in due hollow flake [questa volte fessure formate da pilastri incastrati in qualche modo nella roccia sottostante, ma che rimbombano cupi a vuoto].
Meglio che niente. Speriamo che la teoria di Ralf sia giusta.
Arrivato alla base del diedro, gli attriti alla corda mi costringono ad attrezzare sosta.
Provo a piantare i miei chiodini a sx, posando con circospezione i piedi sui gradini che, a memoria, dovrebbero essere solidi.
Ma, al battere del martello, il ch entra subito in fessura; e la roccia suona sorda, cattiva.
Niente da fare.
Ripeto l'operazione più a dx.
Niente.
Provo di nuovo più in basso.
Mentre sto tentando di piantare per l'ennesima volta la lametta, sono risucchiato verso il basso.
Sì, cado.
Il pilastrino ai miei piedi ha ceduto.
Sento un primo strappo.
Forse il friend tiene. E mi fermo.
No.
Continuo a cadere.
Precipito con il corpo in orizzontale, di schiena, a braccia aperte.
Maledetto materasso del Rock Palace: bel cazzo di automatismo, mi ha creato; non è la prima volta che, in montagna, cado in posizione supina, come fossi in sala boulder.
Non è così.
Con un certo distacco guardo la parete davanti a me fuggire verso l'alto.
Mi stupisco di quanto sia lungo il volo.
Poi uno strappo.
Forse mi fermo.
Sì.
A velocità vertiginosa pendolo di schiena verso dx.
A oscillazione finita la gravità riprende potere sul mio corpo. E riparto a scheggia nella direzione opposta.
I diedri di fronte a me si avvicinano rapidissimi.
Li sfioro.
Ritorno a dx.
Andrea mi urla: "Tutto bene?".
"Che domanda è?", penso.
Al secondo pendolo a sx sono più in me e riesco a puntare un piede contro la parete e a rallentarmi.
Mi giro verso Andrea.
"Woah! 20 m. di volo... Tutto ok?", chiede di nuovo.
Un po' di male alla mano sx, un'ustione sul braccio, qualche graffio alle gambe. Ma sembra tutto a posto.
I due fr sono appesi alla mia corda. Il BD3 è conciato male, come esploso.
Finisco di riprendermi, pendolo fino a raggiungere le corde che salgono a dx e mi rifaccio il tiro fino al ch che ha tenuto: un universale, santo subito.
Intanto è ricominciato il diluvio universale: Beatrice non ha finito.
Alla prima spiovuta siamo tentati di proseguire.
Riattraverso sopra il diedro strapiombante e attrezzo sosta. Ma è precaria: un solo ch a lama e 2 nut martellati.
Andrea fa solo finta di salire verso di me, poi - bagnato lui e bagnate le placche su cui dovrebbe arrampicare - mi grida: "Torniamo a casa".
Ricomincia anche a piovere.
Non resta che scendere.
Arrampico all'indietro fino all'universale della mia salvezza, lo rinforzo con la lametta e mi calo.
Insomma, è dimostrato.
I friend nelle hollow flake non tengono una cippa.
Esplodono soltanto.
Loro e le hollow flake. Ciapa e porta a ca'.
È andata bene, valà. Ad maiora.
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Soundtrack - Learning to Fly
Pink Floyd - A Momentary Lapse of Reason [1987]
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Soundtrack II - May Nothing But Happiness Come Through Your Door
Mogwai - Come On Die Young [1999]
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Nella foto - La bella L2 di "Lo Spigolo del Vento" - Ph Gigi [www.on-ice.it] .
Se non riconoscete
le circostanze avverse
come amiche,
ma cercate
di eliminare
la sofferenza,
come potete farcela?
Milarepa
Come potete farcela?
in Centomila Canti
1. In cui si discute di come, in certi casi, attaccare il primo tiro da primi sia molto peggio, ma anche molto più virtuoso, che attaccare il primo tiro da secondi
Passi farsi il primo tiro di VII/A1 a freddo.
Passi farsi il quarto, di VI.
E il sesto di V+...
Ma doversi fare da secondo anche tutti i tiri dispari sistematicamente in discesa, no eh?
In pratica, sempre da primo.
'Ché poi uno - che poi sarei io - arriva a L13 sperando che sia finita; e invece si trova il Guerz, sorridente, alla base di un muretto sprotetto e con tutta l'aria - il muretto - di avere prese non saldissime, a sbalzo su uno strapiombo di circa 5 m sulle ghiaie e seguito da una minacciosa fessura strapiombante.
A occhio, VII.
E tocca di nuovo a lui [cioè a me].
Vabbe'...
Meglio dare retta, ancora una volta, al maestro Mila: mai evitare penitenziagite.
Però la prossima volta facciamo a "Pari e dispari" per chi parte, ok?
Non vorrei che il Guerz rinunciasse a troppe delle occasioni di illuminazione a lui destinate.
'Ché poi così, magari, risparmia anche sulla bolletta della luce.
E, di questi tempi, può essere sempre utile...
Fuor di metafora, a combinare i tiri come li abbiamo descritti noi, va a finire che il primo che parte si fa tutta la via da primo.
Meglio tenerne conto nella distribuzione delle lunghezze.
2. In cui si discute della relatività del concetto di "lunghezza di un tiro"
Ho un dubbio.
Su un tiro con 4 saliscendi da 6-7 m. ciascuno, si misura l'effettivo tragitto dell'alpinista su e giù per la cresta oppure la lunghezza della corda da sosta a sosta, a tiro finito?
Perché nel primo caso, con 60 m. di corda fuori, il tiro potrebbe raggiungere uno sviluppo effettivo di 80 m. E come scrivi, nella rel.: "L11 - 80 m."? Come interpreterà la cosa chi legge? Che deve portarsi mezze corde da 80?
Nel secondo caso, invece, un incauto ripetitore che legga "L11 - 60 m." e si trovi a fare un tiro di 80 m. di sviluppo effettivo, potrebbe anche alterarsi.
Doppia indicazione?
"Sviluppo per lunghezza di corda - 60 m. - Sviluppo effettivo - 80 m.?"
Ma così la rel. diventa enciclopedica.
Bah, mi sa che - da ora in avanti - farò come i vecchi: si va su di là e si viene giù di qua.
Punto.
E chi ripete si regola come sa.
E se non sa, non ripete.
Comunque nella rel. ho messo lo sviluppo effettivo dei tiri, non la lunghezza "per corda fuori" da sosta a sosta.
Così, giusto per chiarire.
3. In cui si dirime la questione relativa a dove cada l'accento di "Selvàdec"
Se si dice "selvàdec" [con accento sulla "a"], si scrive "selvàdec" [cfr. anche GdB a questo link].
Se si dice "selvadèc" [con accento sulla "e"], si scrive "selvadéc".
Semplice.
A voi la scelta.
A me piaceva anche "Via dei Selvàdecc" [plur. - i "selvatici" sono almeno 2, e forse anche di più, a seconda di quanti ripeteranno l'itinerario].
Ma, alla fine, l'idea resta quella: via per rustici.
Sulla canzone che ha ispirato il nome dell'itinerario al Guerz - comunque già segnalata nel link di cui alla corretta grafia di "Selvàdec" - rimando a questo post del suo blog: guerza.wordpress.com.
Di mio, ci metto un brano del solito Branduardi, su liriche di Yeats.
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Soundtrack - La Canzone di Aengus, il Vagabondo
A. Branduardi - Branduardi Canta Yeats - Dieci Ballate su Liriche di William Butler Yeats [1986]
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Nella foto - Corna Blacca, terra di torri [ph Guerza] .