Oceano Irrazionale:
in posa, non senza affanno, sul tiro della Tromba
Val Masino
Pilastro del Pesgunfi
Mombi
Vitali, Brambati -
(VII/A1 o VII,
200 m.)
Se sei centrato,
decidi bene.
Se decidi bene,
sei centrato.
Forse...
8 - Il raggruppare
Immagine dell'esagramma
[...]
Non tranquillizzarsi: da tutti-i-lati vengono.
Dopo, padronanza.
Insidia.
I ching. Il libro della versatilità
Torino, UTET, 1997, p. 158.
Uno
Sono sprofondato in uno dei miei sogni strani.
Non è piacevole per niente.
Ma, proprio mentre sono sprofondato nello strano, spiacevole sogno, sento una vibrazione alla mia sinistra.
Mi sento come una mano che mi sprofonda nei visceri e li tira verso l'alto.
E' sempre brutto, il risveglio.
Per fortuna è breve.
Apro gli occhi.
Sì, era la sveglia. Ora di alzarsi.
Due
Mombi, L4.
Sono appeso al fix sopra il tettino.
Mi ci sono affidato dopo un paio di tentativi in libera: o le mie dita sono ancora troppo fredde per il VII+ boulderoso indispensabile a superare il bordo dello strapiombo su cui sto penzolando o sono troppo brocco.
Poi mi alzo in Ao.
Non basta ancora: dovrei piazzare il piede dx sopra un'evidente tacca spiovente, tirare due lamette, una per mano, e appoggiare il piede sx non vedo bene dove.
Ma così mi alzerei e mi allontanerei dalla materna sicurezza del solido fix.
E sopra non mi pare di vedere niente di buono.
Altro riposo sul fix.
Poi riparto.
Staffo il fix per alzarmi ancora un po' e vado in libera, staccandomi dal cordone ombelicale della protezione, con la stessa sensazione di disagio allo stomaco provata stamattina al risveglio.
Qui cado. E, se cado, volo lungo. E io non ho voglia di volare lungo.
"Calma, Sandro. Respira. Guardati in giro..."
Sì, riesco a contenerla, la paura.
E, nonostante il continuo tremolio alla gamba sx, mi rendo conto che sto su.
La tacca per il piede dx sembra sfuggire. Ma sembra soltanto.
E le prese, per quanto piccole, dopo un paio di strizzate e un velo di magnesite alle dita, mi sostengono.
Però continuo a vedere, irraggiungibile 40 cm. sopra di me, la presa che mi permetterebbe di uscire dal tratto di parete in cui sono, così povero di appigli e appoggi degni di questo nome.
Guardo meglio e sposto più centrale e più alto il piede sx, su un punto della roccia che non sembrerebbe essere in grado di opporre frizione alla gomma delle scarpette.
E invece lo fa.
Adesso mi basterebbe bloccare di braccio sx, alzare il piede dx su un appoggio, laggiù, e mirare alla presa d'uscita che, ora, sembra meno irraggiungibile di prima.
Me ne sto lì cinque minuti buoni a intingere mano dx e mano sx nel sacchetto della magnesite, forse aspettando che le dita siano pronte alla trazione che le aspetta.
Poi - finalmente - riesco a fare silenzio dentro.
Guardo la presa e - come se ne fossi attirato - vado e la punto di mano dx.
Lah, raggiunta.
E' inclinata verso il basso e viscida.
No, non mi fermo: meglio di no. Raddoppio di sx e cerco a dx. Anche l'altra presa più a dx è svasa e scivolosa.
Penso sia il sudore sulle dita a rendere viscido il granito.
La gamba sx è di nuovo tutta un tremolio.
Guardo in alto, alla ricerca di prese più sicure.
Diritti meglio non salire: prese stondate ricoperte da un velo d'acqua.
Allora a sx, puntando a una bella fessura, fuori di un m. rispetto alla linea di salita. La prendo incastrando le dita con il braccio sx in semirotazione.
Mi sento pensare: "Meglio non volare, o me le torco". Sarebbe una bella scrocchiata.
Ma gli automatismi sviluppati in centinaia di ore di arrampicata fanno il loro mestiere: i piedi scelgono da sé gli appoggi migliori e mi conducono al ridotto frammento di orizzontale sotto la fessura che mi permette di tirare il fiato.
Sistemo al meglio un kevlar di protezione sullo spuntoncino che costituisce la parte finale della lama e con un altro paio di movimenti raggiungo il fix successivo.
Ok, evitata la planata e superato il passo chiave.
Se fossi volato, non mi sarei fatto niente. Ma sarebbe stato davvero un bel piombo.
Sopra di me il sole è splendente come soltanto a maggio e in montagna può esserlo.
E il cielo altrettanto azzurro.
Tre
In auto, durante il viaggio di ritorno Guido interrompe il mio incipiente sonnellino, favorito dall'alzataccia e dalla birra con panino appena terminati, con una delle sue classiche serie di domande a raffica, alimentate dalla sua inesauribile curiosità.
Vuole sapere che cosa penso della centratezza, di quella forma di meditazione in movimento che è l'arrampicata quando sorge dal silenzio interiore.
Lui sa che cos'è: ne ha fatta più volte esperienza, come guida con i clienti, ma ancor più durante il suo tentativo al Torre o i metri e metri delle difficili scalate giovanili, una dietro l'altra, forse proprio alla ricerca di quella sospensione, di quel silenzio magico.
Basta guardarlo arrampicare.
Ha una tecnica e un equilibrio impressionanti. Riesce a fare riposi senza mani in tratti di parete verticali, nei quali a me sembrerebbe impossibile anche solo immaginare di riuscirci.
"Mah", gli rispondo. "Mi sa tanto che la centratezza, la capacità di contenere la paura, l'ansia, la furia, l'amore, il desiderio, la tristezza, lo sconforto, la lacerazione, il terrore, l'abbandono, ogni altra emozione sia il regalo lasciato dal bosco, dal campo di battaglia e di caccia a chi riesce ad attraversare più o meno indenne il caos del regno oltre e sotto i confini del rassicurante mondo della vita associata.
"E' l'esito finale di qualunque percorso iniziatico. Quello che ci fa essere uomini, ανδρες, avrebbero detto i greci, quello che fa sì che, come spiega i ching, il cielo [il maschile] possa contenere e dare forma alla terra [il femminile], sostenendola... Sì, qualcosa del genere...
"Una qualità che i maschi all'interno della nostra società sviluppano di rado, oggi: niente più wild, niente più incontro - simbolico o reale - col momento ultimo, niente più centratezza. Solo emozione dilagante e ondivaga, senza direzione..."
"Ma le sogni di notte, queste cose", mi chiede lui. "Non è che
magari è tutto frutto di immaginazione?"
La birra può aver contribuito, dico. Poi gli racconto dei risultati di un interessante esperimento psicologico fatto già un bel po' di tempo fa: gli esseri umani sembrano innamorarsi irrevocabilmente delle contorte spiegazioni con cui cercano di dare senso all'insensatezza di quello che capita loro di vivere. "Sì, tutta immaginazione. Può essere. Ma senza tutta questa immaginazione niente Newton né Einstein, niente Michelangelo né Dante, né 'mettici chi vuoi tu'. Senza immaginazione il nostro mondo umano non avrebbe neanche un decimo della sua attuale ricchezza. "Il problema è capire quali frutti della nostra immaginazione valgono e quali no. Quali sono destinati a restare e quali a svanire come schiuma. "E poi, quando si è in una condizione di centratezza e di silenzio interiore, non si immagina niente. E allora nemmeno si può sbagliare. O no?"
"L'argomentazione è farlocca", fa lui. "Lo so", rispondo.
Ride.
***
Come soundtrack metto un regalino per Guido, "My Father, my King" [i soliti Mogwai], una vera e propria meditazione in musica sull'ombra del maschile.
La linea melodica fondamentale è di un antico inno ebraico, "Avinu Malkeinu" ["Nostro Padre, Nostro Re"], una preghiera recitata dagli ebrei in occasione dello Yom Kippur [info wikipedia qui].
E' ipnotica, ma da ascoltare con moderazione: a me fa venire bruciori di stomaco.
***
Soundtrack - My Father, My King
[The Belly Up Tavern 15/05/2009 - Part 1] - Mogwai
***
Bella via su granito particolare.
L4 dev'essere spesso bagnata. E questo non
è molto simpatico. La relazione visuale dell'itinerario è reperibile a questo link [http://www.paolo-sonja.net/mello/pesgunfi.html] del sito di Vitali e Brambati.
Numerose altre relazioni presenti in rete.
L1 - Fessura e facili muretti su un avancorpo fin sotto il bel muro centrale (V - 40 m.).
L2 - Vago pilastro con svariati passaggi richiedenti pensiero laterale (VII- - 30 m.).
L3 - Bella placca che si verticalizza sempre più. Richiede occhio nello scegliere la linea di salita migliore. Numerosi curiosi, piccoli animaletti da granito sulle prese, rapidissimi a sfuggire da sotto le dita (VII- - 40 m.).
L4 - Tiro chiave: placca, strapiombo, muro tecnico di difficile impostazione e fessura molto probabilmente spesso bagnata (VII/A1 o VII+ - 30 m.).
L5 - Fessura, a dx per placca, diritti e a sx alla sosta con difficile pass. di blocco, più agevole per i lunghi (VII- o VII, a seconda della lunghezza delle gambe - 30 m.).
Con corde da 60 m. è possibile calarsi da S5 a S3, da S3 a S2 e da S2 a terra (l'ultima doppia propende agli incastri; meglio spezzare in S2-S1 e S1-terra).
Noi abbiamo usato 1 fr di misura paragonabile al viola piccolo camalot [rel. 24 maggio 2010].
Si tratta del fondo del diedro, di roccia non sempre ottimale, che taglia da sx a dx la grande nicchia strapiombante circa un'ottantina di m. sotto l'attacco di "Mombi".
Non l'ho trovata eccezionale; ma può essere interessante per prendere - o riprendere - confidenza con friend e nut.
I primi 2 tiri del diedro sono del tutto sprotetti. Necessari friend dal viola piccolo al blu grande camalot e qualche nut medio-piccolo.
L1 - Primo salto del diedro; poi spiana; quindi a dx, superando un secondo salto ripido e di roccia non ottimale, ma facile; quindi placca a dx del fondo fino a rientrare a sx dove questo si restringe (non stare a dx: roccia fradicia e alberi smarzi); si esce alla sosta per pass. più facile per gli alti. Amministrare bene le protezioni. Sosta su 2 fix con anello (VI/VI+ - 30 m.).
L2 - Sempre sul fondo del diedro o per placca alla sua dx fino a una sosta su 1 fix con anello (VI- - 30 m.).
L3 - Brevemente sul fondo del diedro, poi alla sua dx per placca spittata (V/V+ - 30 m.) [rel. 24 maggio 2010].
Facchinetti, Farina, Prina, Valtorta -
(VII+,
215 m.)
Ripetuta al seguito di Dario Sandrini, del quale
abbandonai
un chiodo ad U al 1° tiro. Bella e difficile. Bisogna sapersi
proteggere
sul 1° tiro e pedalare sull'ultimo (protezioni rarefatte).
Fui costretto all'artificiale sul 4° tiro a causa
di una
invadente colata d'acqua che scendeva ruscellando dallo strapiombo (e
dentro
le maniche del mio pile, mentre tentavo la dulfer della fessura di
fondo
del diedro). Ero con Giovanni. Intendevamo ripetere anche "Le corna non
fan
peso", ma rinunciammo constatando il grado di invasione vegetale delle
fessure
dei primi tiri.
Fatta con Dario in combinazione con "Piedi di piombo"
(soluzione
raccomandabile). Due tiri in fessura (il 1° faticoso), poi placche
melliane.
Qualche tempo fa vidi un documentario sulla Valle di cui era
protagonista
Ivan Guerini. In una delle scene mi sembrò che stesse
arrampicando
proprio sul "Self control" e che facesse sosta... su uno spit! Non
c'è
più religione!!!
Il capolavoro della Valle. Bellissima. La fessura della
Tromba
può essere percorsa anche senza incastrarsi (prese piatte molto
generose
per le mani e piedi in aderenza su cristalli della placca sottostante).
L'uscita
al Pulpito dell'Eremita è percorribile in libera (buon nut
sistemabile
sul fondo del diedrino - Io non mi fidai dell'uscita sporca e tirai la
protezione).
Noi, arrivati sul panettone terminale, scendemmo a sinistra lungo vene
e fessure
erbose fino a raggiungere la linea di calate di "Anche per oggi non si
vola":
discesa semplice e rapida.
Si, confermo: un capolavoro.
Oramai sono passati molti anni. Se non ricordo male, l'ho salita con Fabrizio Convalle a metà degli anni 80. Forse tra i primi in Toscana a ripetere la via, preceduti da Claudio Ratti e Roberto Vigiani.
Alberto Benassi
Monte Qualido
Artemisia
Bianchi, Brambati, Carnati, Vitali - (VII/A2 - 700 m.)
Incredibili placche tecniche, muri e fessure. I gradi
sono
meno sostenuti che in Valle, ma le protezioni lunghe
impongono cautela. La sveglia arriva già al 3° tiro: VI con
lo
spit un bel po' di metri sotto i piedi. La fessura di A1 del 16°
tiro
non è A1 (a meno che non lo si consideri un A1 molto new age): a
un
muretto chiodato che porta alla cengia sotto la fessura strapiombante
fa seguito
la prima verticalizzazione di quest'ultima (un bel passo di VII per
arrivare
ad un chiodo dall'aspetto malsano, cui è necessario appendersi).
A
questo punto la fessura si trasforma in rigola e attraversa una
bombatura
strapiombante. Non ci sono altre protezioni in loco. Io ho usato: 1 nut
incastrato
in una strozzatura accennata sul fondo della rigola (pessimo), 1 friend
4
Ande (mediocre: lavoravano 2 camme su 4), 1 friend 3 (discreto), 1
friend
5 (discreto), 1 nut (buono) sul fondo della fessura che riprende netta.
Se
questo è A1...
Guattini, Pedeferri, Pizzagalli, Soldarini, Vago -
(VII/A1
- 700 m.)
Simile ad Artemisia. Stupendo il tiro di VII+. Il tiro
di
artificiale è A1 (vero), anche se è molto lungo
(economizzare
i friend nella prima parte). Al 15° tiro traversare bassi puntando
all'evidente
rampa-fessura sulla sinistra. Attenzione alla prima calata: probabili
incastri
di corda.
Ripetuta fino al 2° tiro, che, d'altra parte, da
solo
merita la visita: vena di quarzo ascendente verso sinistra e poi muro
tecnico
con passo di uscita per lunghi. Chiodatura distanziata. Stupenda la
zona,
solitaria e selvaggia, un angolo patagonico tra montagne a due passi da
casa.
OS per Ralf Steinhilber.
La ripetei entrambe le volte con partenza da "Stomaco
Peloso".
La prima sbagliai tenendomi troppo a destra in corrispondenza del tiro
di
VI- (mentre è evidente la lama a sinistra che si deve prendere).
Si
presti attenzione al passo chiave: non è proteggibile. La via
conclude
interlocutoria sotto gli strapiombi della "Signora del tempo".
Primi movimenti molto tecnici, poi belle lunghezze su
placche
e fessure diagonali da proteggere. All'ultimo tiro Giovanni e io ci
calammo
dal ginepro al terrazzino sotto lo spigolo di VI perché non
riuscimmo
a risolvere il rebus motorio richiesto dal passaggio: il tratto,
sprotetto,
sembrava preludere ad un probabile volo tra i rami contorti del
ginepro.
Un grande fungo intrusivo difficile da rimontare
(4° tiro)
costituisce il passo chiave della via. Anche più sopra passi di
aderenza
su funghi e chiodatura non proprio ravvicinata. Volo per Giovanni
Mostarda.
Celebre via che non necessita di presentazione. Ralf
Steinhilber,
durante la nostra ripetizione, continuava a ridacchiare tra lo stupito
e il
divertito. Uniche note: lungo la Serpe Fuggente, al suo interno, si
incontrano 3 friend
incastrati,
raggiungibili solo da chi ha manine sottili. Se non si è in
possesso
di tale attibuto, meglio dotarsi di una serie doppia di friend
medi
(misura 4-5-6 Ande). Altrimenti, si deve... pedalare con poche
protezioni.
Dopo l'Angolo Amaranto sono possibili molte varianti. Questa la linea
da noi
seguita.
4° tiro - Angolo Amaranto poi a dx per placca e canale erboso fino
a sosta
su alberi (30 m).
5° tiro - Diritti per facile placca sopra la sosta fino ad una
costola
fessurata che si risale, puntando alla fessura alla base del Grande
Arco;
alla nicchia (1 ch) proseguire diritti per strapiombo fessurato (3 ch)
pervenendo
ad una sosta (scomoda) (45 m - Avendo corde di lunghezza adeguata,
meglio
proseguire fino alla nicchia soprastante: sosta comoda con tre chiodi).
6° tiro - Ancora lungo la fessura sul fondo dell'arco fino a poter
scendere
per placca ad una sottile fessura (con fiori e ginepro bonsai) che
taglia
orizzontalmente tutto il muro sotto l'Arco. Sosta al suo inizio (1 solo
ch,
da integrare - 35 m ca).
7° tiro - In orizzontale lungo la fessura (30 m - Sosta con 2 ch).
8° tiro - Ancora in traverso a dx fino a rimontare ad un pulpito
con albero
(40 m).
Poi come da relazione. S 10 scomoda.
Ripetuta in combinazione con Polimagò, a creare Kundamagò
(o
Polimalini, a scelta), il long trip più allucinogeno delle
Dimore Divine.
Forse perché al termine della stagione
alpinistica
o a causa della potente vampa solare che rendeva troppo tenera la
mescola
delle scarpette, Ralf e io non demmo il meglio di noi stessi su questa
via
dalle difficoltà sostenute. Ottime (a tratti) le protezioni (fix
inox
del 10, alle soste e sui tiri, alcuni chiodi).
Integrazioni sulla rel. Maspes-Miotti
1° tiro - Niente da aggiungere. Scaldarsi bene prima di partire.
Nella
prima parte del tiro protezioni su cordoni attorno a sassi incastrati.
2° tiro - I ch sono 4. Pass. di VI+ esposto e delicato. Run-out
fino in
sosta.
3° tiro - Non c'è più il ch sul passo di VI (è
possibile
proteggersi utilizzando un fungo di anfibolite).
4° tiro - Spit aggiunti nella prima sezione, ma bisogna comunque
pedalare
in alto.
5° tiro - Sostenuta la fessura sopra la sosta (V?), poi
ancora diedro,
traverso a dx e diritti all'interno di una curiosa conca nel granito.
Ammetto
di aver superato in A1 l'ultimo passaggio (VI+?).
6° tiro - Ch e spit come da relazione. 2 pass ostici.
7° tiro - Placche sopra la sosta, puntando a sx. Poi, per noi,
sosta nel
canale (45 m. - albero).
8° tiro - Ancora placche appena a dx del canale. Altro albero di
sosta
(45 m.).
9° tiro - Per placche a sx e poi sopra il canale, al bosco
sommitale (30
m.). Commenta la relazione
L'Albero delle Pere
(VI+/VII - 210 m. ca)
Il blu si stende così attraente
A ovest dell'Autostrada n. 1
Riflessi luccicanti come di ghiaccio dorato
Appena uno specchio per il sole
Appena uno specchio per il sole
Appena uno specchio per il sole
Questi occhi ridenti non sono altro
Che uno specchio per il sole
Quante cose sono successe
Prima di queste battaglie perse e vinte
Red Hot Chili Peppers,
"Road Trippin' [Girovagando]", Californication
Uno
Sabato.
Ore 5:30, dai Cinesi.
Arriva Dario, scende dall'auto e mi fa: "Dobbiamo cambiare meta..."
"Come 'Cambiare meta'?"
E io che mi sognavo già non dico la Terza Pala, ma almeno una puntatina a uno dei satelliti...
"Eh, sì... Ieri torneo di beach volley... E oggi sono devastato... Val di Mello? 'Kundaluna'?"
Credo di non riuscire a nascondere uno sguardo contrariato: la Val di Mello mi piace sempre; ma su "Il Risveglio di Kundalini" e "Luna Nascente" ci saranno già le cordate alla base da ieri sera, pronte a partire...
E poi ddt non ripete...
Due
Alla fine abbiamo preso l'unica decisione possibile: Val di Mello.
Dario magari era anche in condizione. Ma non aveva voglia. E conta questo, non altro...
Come previsto, alle "Dimore degli Dei" lungo serpente di cordate in coda su "Kundalini"...
"L'Albero delle Pere" era abbastanza libera. Quindi cinque rapidi tiri in fuga dal caldo. E poi siamo saliti allo "Scoglio delle Metamorfosi" per "Luna Nascente".
Combinazione inedita, o quasi.
Da qui il nome "L'Albero della Luna".
Sì, avrei potuto optare anche per "Pere Nascenti" [Maliziosi!]
O "Le Pere della Luna" [E se Artemide se la prende, suscettibile com'è?]
O, peggio che peggio, "Albero Nascente"... [Troppo botanico]
No.
"L'Albero della Luna" va bene: crea un discreto effetto onirico.
E poi esprime alla perfezione il mio umore lunatico di questi giorni.
La cordata davanti a noi aveva un vantaggio di tre tiri.
Ma, ciò nonostante e considerato il fatto che questa è la quinta o sesta ripetizione della via per Dario e la terza per me, in un lampo abbiamo raggiunto i due che ci precedevano, abbiamo aspettato un'ora che si liberasse - alla sosta dopo - la confluenza di "Polimagò" con "Kundalini" e poi, appena possibile, all'ex-sosta del "Totem" ["ex" perché il "Totem", il vecchio bonsai di larice rinsecchito che faceva da ancoraggio, non c'è più], abbiamo preso l'uscita diretta in obliquo a sx su placche. Ultimo tiro.
Sono davanti io.
Prima, in sosta, un cristallino di quarzo mi è entrato nell'occhio sinistro e, complice la disidratazione e la conseguente, quasi totale assenza di liquido nei miei dotti lacrimali, si è andato a ficcare proprio in mezzo alla pupilla.
"Hai una macchiolina bianca sulla pupilla", mi ha detto Dario, prima che partissi.
E guai a provare a toglierla: si pianta ancora di più.
A occhio [ah ah ah...] sto perdendo un decimo di vista ogni mezz'ora circa.
E così adesso, su questa placca improteggibile, sono costretto a ricorrere ai soliti trucchi da miope ambliope per cercare di individuare i punti deboli della parete: sposta la testa, falla ondeggiare da sinistra a destra, e avanti e indietro.
Ecco, di là.
Mancano pochi m. al bicentenario abete rosso di sosta.
Ultimo muretto lichenoso. Tutta la corda fuori e nessuna protezione in mezzo.
Per qualche imprecisato motivo sono più preoccupato del quarzo che si è attaccato al lavoro del mio oculista che della potenziale fionda a pendolo di 100 m. circa che mi aspetterebbe in caso di errore.
Che il danno ottico sia più probabile della planata a pelo di granito?
Salgo 2 m.
E' facile, ma gli appigli sono ricoperti di lichene.
Qualcosa mi ferma.
Scendo, traverso altri 2 m. e, con un paio di movimenti elementari, esco dalla parete.
Tre
Per fortuna non siamo andati sulle Pale: con questo caldo ora saremmo ridotti a cotolette grigliate per zecche.
Ma anche la scelta di oggi non è stata un granché.
Io, dopo i 500 m. di arrampicata mellica di ieri, ho i piedi sfondati e ho insistito per "Per Chi Mi Hai Preso", vietta per principianti aperta da Ivan, Angelo e Stefania sulla parete alla sx della cascata di Danerba, in Val Daone [e avrei proseguito volentieri con "Cavalcando l'Orso", sempre lì].
Ma Giovanni avrebbe voluto qualcosa di più avventuroso.
Così, mediazione dopo mediazione, ci siamo spostati prima sotto "Sulla Rotta del Vichingo" allo Scoglio: tonalite nera, abbrustolita dal sole e bagnata in alto.
E poi sotto "Scogliofobia", appena in parte, in condizioni simili e col 6c+ obbligato.
Non restava che la placca a sx di "Aldebaran".
Abbiamo attaccato, credo, "Piccolo Principe"; ma su L2 una colata beffarda tagliava la linea rendendo ancor più viscida la già viscida roccia ferrosa della parete.
Quindi, qualche m. sotto rispetto a dove sono adesso, ho deviato a sx e mi sono spostato su "Nonna Lisetta".
Per arrivare alla catena mi manca un fix, tre m. sopra.
Poi dovremo comunque calarci: il nastro d'argento della colata attraversa L3. Inoltre la nostra transustanziazione in "costatine alla piastra" è lì lì per compiersi.
Ho le mani su un'ottima tacca e dovrei solo fare un ristabilimento mano-piede per raggiungere la protezione.
Ma tra la patina di fango che ricopre la presa, la suola delle scarpette umida e resa troppo morbida dal calore, la roccia scivolosa, il sudore sulle dita, la magnesite finita e il pass. difficile, proprio non riesco...
E non riesco neanche a pendolare a sx [le scarpette non fanno presa], né a dx [colata].
Avessi un cliff...
Niente...
Non mi capitava da anni di lasciare un moschettone in parete.
Vabbe'...
C'è sempre una prima volta.
E anche una seconda...
Giù.
Il nome della via [aperta nel 1977] non ha niente a che fare col film della Archibugi [del 1998].
Alcune rel. presenti in rete [cfr. ad esempio la rel. sassbaloss, qui: http://www.sassbaloss.com/pagine/uscite/pere/pere.htm] discordano in parte da quanto abbiamo constatato noi salendo l'it.
Questa la linea che abbiamo seguito noi.
Portare serie di friends.
Attacco nei pressi di una cengia, dalla quale parte anche un'altra via di cui non ricordo il nome.
L1 - Breve fessura atletica [2 m.] inclinata a sx sulla dx di un grande strapiombo obliquo a sx, poi per erbe e roccette in obliquo a sx e diritti fin sotto un diedro fessurato inclinato a dx. Per esso a un terrazzo boscoso; al suo margine dx si sale un gradino e si fa sosta alla macchia di alberi alla base del diedro che dà la direttiva di salita nel tratto centrale della via (55 m. - V+).
L2 - Nel diedro, prima facile, poi difficile, in particolare in prossimità di una strozzatura a camino e del successivo tratto strapiombante; al termine di questo in obliquo a dx per diedro fessurato appoggiato fino alla sosta scomoda sotto l'ultimo tratto strapiombante del sistema di fessure (40 m. - VI+).
L3 - Boulder ostico per salire il primo tratto di fessura; poi incastri e movimento, aggirando sulla dx l'ultimo tratto di fessura (20 m. - VI+/VII-).
L4 - In obliquo a sx fin sotto un diedro inclinato a dx; al suo termine diritti in placca; quindi in obliquo a sx, facendo sosta a una macchia di alberi all'interno di un' ampia fessura-camino appoggiata (45 m., mi pare - IV+).
L5 - Uscire dalla fessura camino a dx e salire prima per placche alla sua dx e poi lungo la sua prosecuzione fino a quando questa piega a dx; ancora 7-8 m. per la fessura e, appena possibile, a sx, al bosco sommitale (50 m. - V+) [Rel. 25 maggio 2009].
Nel corso della nostra prima ripetizione Riccardo
Colosio
dimostrò la sua grinta proteggendosi su tutti i tiri solo con
nut.
Solo quelli avevamo...
La seconda volta pensai bene di portare con me i friend. E fu tutta
un'altra
faccenda.
Il tetto del 2° tiro è ormai ultraviscido (se si punta alla
libera,
magnesio in abbondanza sulle dita prima del traverso). Al 9° tiro,
se
si sceglie l'uscita di sinistra, si tenga presente che le corde da 50
m. si
concludono prima che si riesca ad arrivare sui prati terminali.
Volendo, si
può fare sosta su ch e spuntone in corrispondenza dell'inizio
del traverso
a sinistra.
Integrazione 2009
Trovato un secondo metodo per passare su L1.
Inoltre L2 è liberabile in assoluta tranquillità anche senza magnesio: basta giocare bene di piedi [max VI+/VII-].
Se si dispone bene l'ultima protezione sotto il tetto, si può saltare S2 tradizionale e puntare senza soluzione di continuità a S3.
Altri avvisi per i naviganti:
Il vecchio albero rinsecchito di sosta prima del traverso alto a sx non c'è più, sostituito da 2 ch.
Questa la nostra uscita diretta:
L7 - Dalla sosta di partenza del traverso in lieve obliquo a sx per placca fino a un buco con ch; da qui diritti, aggirare a sx un cespuglio e un tratto erboso e fare sosta al margine dx di un tettino ad arco (40 m. - V+).
L8 - Placca compatta sopra la sosta, appena poss. un po' a sx, quindi in obliquo a dx per vago "sentiero di pietra"; a una vena di quarzo a sx fino a poter uscire dalla parete per placca lichenosa (55 m. - V+). Niente protezioni.
Ripetuta in combinazione con Kundalini. Via
allucinogena,
in particolare per il povero Ralf Steinhilber che, al 6° tiro,
tratto in
inganno dalla relazione Maspes-Miotti, si trovò a vagare per
placche
di VII a dx del naso con cui si conclude la prima parte della fessura,
alla
disperata ricerca di un V che, almeno lì, non c'era. Dopo 45' di
motivata
angoscia, riuscì a rientare in linea e a fare sosta, con 45 m di
corda
fuori, almeno 10 m sotto l'inizio del sistema di vene sul quale si
traversa.
Urge relazione particolareggiata.
1° tiro - Come per Luna Nascente (l'antro sulla sinistra non
è
per niente invitante). Passo iniziale da me (finalmente) liberato dopo
aver
sistemato in artif un nut aggiuntivo (un solo suggerimento, tenersi a
sx della
fessura sulla quale ci si protegge: è un passo relativamente
facile,
capito il trucco).
2° tiro - A sx della sosta fino all'antro di attacco della Porta
del Cielo.
Prima in spaccata e poi in dulfer si rimonta a sx il tratto verticale
del
tiro. Il successivo diedro appoggiato può (forse) essere
protetto adeguatamente
con friend grandi (max misure Camalot, per chi può
permettersele) o
portandosi nello zaino... macigni da incastrare!
3° tiro - Prima all'interno (tecnica da camino) e poi all'esterno
(dulfer),
o sempre all'interno, se si è abbastanza anguilliformi, si sale
l'incredibile
lama che sovrasta la sosta. Fermata al suo termine, curiosa, panoramica
e...
ventiliata.
4° tiro - Proteggersi bene (1 friend 2 o 3 Ande buono in fessura a
sx
del pilastrino mobile appena sopra la sosta) per superare il primo
ostico
passaggio. Poi si superano, seguendo i chiodi, tre successivi
strapiombini,
puntando allo spigolo dx del compatto pilastro aggettante sopra la
sosta.
Di qui a dx per tracce su erba fino ad un alberello su pulpito, sul
quale
si fa sosta (45 m) o, meglio, dal quale si scende a dx nella nicchia
sottostante
(2 ch di sosta).
5° tiro - Si segue il sinuoso diedro che, compiendo una sorta di
"punto
interrogativo", porta all'inizio del famigerato 6° tiro (25 m -
Sosta
buona e abbastanza comoda).
6° tiro - Si rimonta il bordo sx del diedro sul fondo del quale
è
la sosta, puntando ad un più ampio e meglio proteggibile diedro
fessurato
più a sx (diverse protezioni incastrate). Si segue per tutta la
lunghezza
l'arco che esso compie verso dx E SI CONTINUA A SEGUIRLO anche quando
torna
a farsi verticale (2 ch sul fondo della fessura, comunque ben
proteggibile),
fino ad arrivare ad un sistema di larghe vene di cristallo. In
corrispondenza
della prima di esse ci sono 2 ch di sosta, così come, in
corrispondenza
della vena più alta, 2 ch proteggono il traverso. L'ideale
è
fare sosta ai primi 2 (50-55 m) ed assicurarsi sugli altri. Se non vi
si arriva,
è possibile attrezzare una sosta dopo circa 45 m su ch e nut
(quest'ultimo
da piazzare).
7° tiro - Si traversa a dx sul sistema di vene prima in lieve
discesa
e poi in orizzontale, spostandosi di livello a cercare la migliore
sequenza
di appoggi, fino a raggiungere la fessura e S 6 di Luna Nascente (20 m
il
traverso -25 m il tiro partendo dalla sosta a chiodi - E' proprio V!).
Si prosegue quindi sulle ultime lunghezze di Luna Nascente.
Relazione del settembre 2004.
Stupenda e molto varia: camino, fessure, placche... C'è di tutto. Decisamente più impegnativa della altrettato bella Luna Nascente.
Alberto Benassi
Sperone della magia
Terrore oscuro
Ignoti - (VII/VII+ - 80 m.)
Di mia invenzione il nome, a memoria dell'orrorifica
avventura
che capitò a me e a Riccardo Colosio durante una delle nostre
prime
puntate in Valle. Vi finimmo in mezzo per errore credendo di essere su
"La
sfera di cristallo". Riccardo salì lungo l'evidente diedro che
taglia
al centro la parete e fece sosta ad un chiodo cattivo (infilato dal
basso)
nella rampa-fessura che si dirama a sinistra a circa 2/3 del diedro.
Poi toccò
a me: strapiombino (V+), che protessi con un buon eccentrico, e
successiva
vena di quarzo che tagliava da destra a sinistra una placca molto
ripida.
Quando mi ci trovai nel mezzo, vissi l'esperienza psichedelica
più
intensa della mia vita. Solo forze ignote mi impedirono di tuffarmi nel
vuoto
dopo aver cercato inutilmente e a lungo una maniera per proseguire (o
per
tornare indietro) dal passo chiave (piedi appena appoggiati sulla vena
e
niente per le mani). Per caso trovai a sinistra (e con la mano destra)
un
microcristallo di quarzo che mi consentì, con una strano
volteggio,
di completare il traverso. Dalla nicchia al suo termine, proseguii
diritto
(sentiero di pietra) e poi entrai nella conca erbosa alla sinistra
della placca
appendendomi ai rami di una betulla abbattuta. Sotto strapiombi trovai
un
cordone di sosta (evidentemente qualcun altro era passato di lì
prima
di noi). Ricky, al mio seguito, superò il passaggio pendolando
sulla
corda.
Sono certo di aver rinviato, quel giorno, i miei ultimi momenti.
Qualcuno sa di che via si tratti?
Fatta con il mitico Pecos. A me nel complesso non è piaciuta molto...
Alberto Benassi
Picco Luigi Amedeo
Via Nusdeo-Taldo
Nusdeo, Taldo - (VI+/A2 - 470 m.)
Che dire? Un capolavoro. Il 2° tiro è spesso
bagnato.
Difficile trovarlo in condizioni per la libera (fessura viscida
verticale
e traverso a sinistra su lama buona per le mani, ma con i piedi in
appoggio
su acqua). Anche il 3° tiro è magnifico (in questo caso
l'umidità
non disturba più di tanto). Semplicemente incredibile, poi,
è
la lunghezza della "Grotta" (molti chiodi buoni, tutti da me
personalmente
testati, prima di entrare nella spaccatura netta nella quale ci si deve
infilare
in stile speleologico). Al tiro successivo Giovanni proseguì
diritto,
prendendo proprio per la deviazione della quale Maspes scrive "No!" e
incontrando
difficoltà sostenute (VI+) su fessura proteggibile a friend
(grandi).
La penultima lunghezza, infine, è qualcosa in più di VI-.
All'ultima
doppia (discesa sul versante Nord Ovest) le corde da 50 m. non arrivano
in
fondo. Attenzione!
Ennesimo capolavoro, su una parete bellissima in un ambiente stupendo. Correvano gli anni 80 forse il 1984, non ricordo bene. Tour arrampicatorio di più giorni con Fabrizio e GianLuca.
Prima eravamo stati al Pizzo Badile: via della "Linea Bianca" di Koller. Quindi trasferimento in Italia per la "Nusdeo-Taldo". Poi nuovo trasferimento: Dolomiti. Il sabato "Messner" alla Seconda Torre del Sella, la sera al rif. Falier e la domenica "Pilastro Don Quixote" con tanto di temporalone e grandine sugli ultimi 2 tiri. Eravamo giovani!!!
Alberto Benassi
Beata gioventù... Che si fugge tuttavia... (:()
Sandro
Badile-Cengalo
Pizzo Cengalo
Spigolo Vinci Redux
Vinci, Bernasconi, Riva? - (VI - 400 m. circa)
La via è evidente: un filo di cresta affilatissimo
dove ci si solleva tra picchi e strapiombi impressionanti.
E' itinerario di gran classe,
un diamante che sfida il tempo
e le migliorie della tecnica alpinistica,
capace d’illuminare con la luce gialla e nera del granito
i ricordi di chi ha avuto il coraggio di raccoglierlo
e metterselo in tasca.
A. Gobetti, J. Merizzi, Aria di Valtellina
Lecco, Stefanoni ed., p. 121.
Uno
Lunedì.
Commentando il racconto della salita della scorsa settimana, Nicola mi scrive:
"E' evidente che se Andrea vuol assurgere all’Olimpo, non può più affidarsi a voi, vecchi guerrieri ultraquarantenni, statisticamente più facili prede dello smilodon di passaggio. :-)
"E quindi, forse è anche negli oscuri disegni del fato, il fatto che dall’Olimpo vi siate diretti verso una più consona [per via del nome] 'don Chisciotte'? "Il Cavalier Sandro che lotta contro i Mulini a Vento [simbolo di forze a noi superiori e che di fatto ci soverchiano] armato di messneriani scarponi a suola rigida?"
Gli rispondo, via email:
"In effetti, la seconda traccia che mi sarebbe piaciuto seguire nel post era proprio quella che individui tu: Olimpo vs Don Quixote. Poi ho rinunciato: mica si può scrivere un intervento lungo cinquanta pagine, no?
"Comunque il nucleo è lì.
"La firma di Giudirel su fuorivia è un'illuminante frase di Turgenev: 'Riteniamo che tutti gli uomini appartengano più o meno a uno di questi due tipi, che ognuno o quasi ognuno di noi assomigli a Don Chisciotte oppure ad Amleto'.
"Insomma, dramma [non riesco a definirlo "commedia"] picaresco vs epica/tragedia.
"Magari ci ricamerò su un po'.
"Vediamo..."
Due
Sabato pomeriggio.
Sto salendo, sotto l'acqua, il sentiero che porta al rif. Gianetti.
E sto rimuginando.
Sull'opposizione Amleto Vs Don Quixote.
Morire - che ne so? - sulle Pale di San Lucano, in mezzo a una terrificante tempesta, nel tentativo di realizzare la prima ripetizione di una qualche remota via tracciata da cencenighesi o vicentini, mentre si combatte "[...] contro il mare delle afflizioni, e, combattendo contro di esse metter loro una fine" [Amleto, atto terzo, scena prima] è amletico o donchiscottesco?
Mah, per chi sta morendo, forse amletico. Per chi - da fuori - assiste all'evento o ne viene a conoscenza, donchisciottesco...
Di sicuro.
E cadere - che ne so? - sulla parete sud di Cima alle Coste, sul primo tiro di una via di nome "Sodoma e Gomorrah", precipitando con un tronco marcio in mano?
Donchisciottesco, di sicuro: ha tutta l'aria di sembrare al grottesco sbaragliamento di don Quixote a opera degli immaginari Giganti - in realtà inanimati mulini a vento - sulle piane della Mancia di cui scrive Nicola.
Percepito da fuori.
Percepito da dentro, non so.
Durante il volo e atterrato sul muro a gradoni sotto la sosta, mentre guardavo davanti a me il Bondone e il cielo sopra, limpido e indifferente, mi sentivo come immerso in un gelo torrido, in quel vuoto soverchiante che spiana ogni significato e che - penso - tutti noi percepiamo all'origine e alla fine.
E' lo stesso gelo torrido sperimentato sulla variante a La Sfera di Cristallo, anni fa.
Lo stesso vuoto saturo al punto da azzerare ogni intenzione provato all'uscita de "La Via della Rinascita", dopo settecento metri di rocce friabili, intervallate a placche sprotette, appena fuori dal salto, nel bosco, al tramonto. Il sole calava in un cielo di varie tonalità giallo pastello. Nel bosco odore di ciclamini. In basso la valle, con i suoi paesi. E il mondo invaso da quel gelo, da quel vuoto.
Se dovessi tracciare le linee di una cosmologia di ciò che - alla Heidegger - si dà a me come mondo, prima e dopo direi che c'è quel vuoto.
Appena dopo e appena prima [del vuoto dissolvente] c'è lo spazio dei deva, degli angeli e dei demoni, delle entità che popolano l'insostanziale mondo dell'immaginario.
E in mezzo c'è l'amletico e/o il donchisciottesco.
O l'epico, o il comico...
O la poltiglia...
O qualunque gioco gli uomini e le donne giochino per continuare a fare quello che fanno, ingannati dai deva, da altri umani o autoingannandosi.
O i più consapevoli - forse - scegliendo...
Certo che qui sta piovendo, eh?
Sto ancora salendo lungo il sentiero, ormai trasformato in uno dei molti torrentelli scrocianti che scendono sul largo fianco della montagna.
Poco probabile [sono su un versante ampio], ma...
Metti che qui vicino cada un fulmine e che tocchi il suolo inondato d'acqua...
Se restassi arrostito, la mia sarebbe una morte amletica o donchisciottesca?
Beh, il dubbio è amletico.
La fine, vista da fuori, donchisciottesca.
Ok, la prossima volta che Fabio e Pietro mi invitano a fare una via di prestigio con loro, le previsioni, le guardo per davvero. Non così, per sfizio.
Se il meteo dà "nuvole e pioggia", questo significa "nuvole e pioggia", mica "pizza e fichi".
Tre
Dopo cena, al rifugio, davanti al tradizionale grappino di mirtillo [mai bevuto in rifugio; ma questa volta faccio uno strappo], rispondo a una domanda rivoltami da Fabio all'inizio del sentiero: "Allora, come è andata sul 'Pesce'?"
Io, all'inizio del sentiero, gli avevo detto: "Mah, facciamo che ne parliamo dopo?". Non riesco proprio a parlare camminando.
Ma ora mantengo la promessa.
Racconto la storia dell'orso.
E poi mi lancio in una disquisizione sulle consequenze della legge di Weber-Fechner [
l'intensità della percezione di uno stimolo è proporzionale al logaritmo dell'intensità dello stimolo medesimo - info qui: wikiversità] sulla carriera di un arrampicatore.
Per farla breve, se salgo una via che mi fa vivere emozioni molto intense [tipo la "Via degli Antichi"], la prossima volta, per vivere emozioni altrettanto intense, dovrò affrontare un itinerario ben più difficile, che mi dia stimoli più forti. Altrimenti non percepirò più l'emozione in modo così vivo.
E questo ha almeno tre conseguenze importanti:
Il giochino può andare avanti solo finché si è giovani e ci si muove per lo più sui gradi bassi della scala di difficoltà e di rischio; poi, passati gli anni, per vivere le emozioni di una salita grandiosa, si dovranno affrontare difficoltà molto elevate, su vie poco proteggibili e magari con un fisico non più in forma smagliante; e questo aumenta la probabilità di incidenti [è pur vero che aumenta l'esperienza; e questo riduce il rischio];
al tempo stesso anche la percezione del rischio si attenuerà; l'organismo si è talmente abituato alla paura - come segnale di pericolo - che non è più in grado di percepirla; e questo può essere davvero un guaio: si rischia di diventare del tutto indifferenti alla propria salvaguardia personale;
e infine, dopo una, o dieci, o cinquanta salite da collezione, le successive tenderanno inevitabilmente a ripetersi; quindi perché continuare? Per vivere un'esperienza già vissuta una, o dieci, o cinquanta volte? Come dice Ralf, c'è altro oltre l'arrampicata.
Finiamo il grappino e andiamo a letto.
Quattro
All'attacco dello Spigolo Vinci [versione ridotta] abbiamo davanti una cordata.
Salgono il canale del primo tiro, fermandosi a 2/3.
Io, Fabio, Giovanni e Pietro ci prepariamo alla base.
Poi parto io.
Memore delle meditazioni serali e temendo i previsti temporali pomeridiani, catalanescamente ragiono: "Se arriva il temporale e noi siamo ancora in via, considerato che dalla cresta si può scendere solo all'inizio o alla fine, è meglio che in parete ci siano tre, due o una cordata?"
"Una", mi rispondo. Fare in sette sei doppie sotto l'acqua sarebbe tutto fuorché piacevole.
La cordata davanti è di tre persone, che si stanno legando per salire l'ultimo facile tratto prima della linea di spigolo.
Saranno lenti.
So che non è educato e non è bello. Ma salgo slegato il canale e li supero, raggiungendo il colletto in cresta.
I soci mi seguono.
Poi io e Giovanni ci leghiamo. Lo stesso fanno Fabio e Pietro.
Giacomo - il ragazzo che conduce la cordata di tre - supera Fabio e Pietro e tenta di star dietro a me e Giovanni.
Poi io, sul tiro di VI, allungo.
E' entrato in azione il motoneurone teutone, il vuoto.
No, non quello dissolvente, grande.
Quello piccolo, l'assenza di "io".
Quella che fa andare e andare e andare.
Sotto le mie dita e davanti ai miei occhi passano il bel tiro della "Schiena di Mulo", il diedro nero, il magnifico "Spigolo Giallo", le gemme di quel piccolo capolavoro di arrampicata tracciato da Alfonso Vinci, cacciatore di diamanti, sull'affilata e seghettata lama di cresta del Cengalo.
In quattro ore siamo al colletto dal quale iniziano le doppie.
Cinque
In discesa, sul sentiero.
Alla fine non ha piovuto. Anzi, il pomeriggio è magnifico.
Pietro ha imposto alla comitiva un ritmo di discesa piuttosto sostenuto ["Ahi, le ginocchia... Ahi, la schiena..."].
Io, che ho perso l'elastico per il codino dei capelli, con la lunga chioma grigia che fluttua al vento, a petto nudo con un ciuffo di peli bianchi nel bel mezzo, magro e "tirato come un dobermann" [cit. Roper] come solo in piena stagione alpinistica posso essere, forse anche per il vuoto attraversato lassù non so bene se sono un incanutito angelo sterminatore che cala sul mondo con - dietro la spalla sinistra - la sua lama mozza-teste [l'affilata, seghettata, infinita lama del Cengalo], o un om salvadeg, o un gigiat redivivo, o un emulo dei mitici arrampicatori yosemitiani in stile hippy "anni Settanta".
Poi la discesa fa il suo mestiere.
Ginocchia e schiena dolenti, muscoli affaticati, il bruciore del troppo sole sulla pelle, un paio di scivoloni sul sentiero, il sudore, la sete mi ricordano chi sono.
Alla fine del sentiero, ai Bagni - stiamo scendendo a tutta velocità, sfruttando l'onda, per forza di inerzia: se ci fermassimo, non riusciremmo più a ripartire, mi sa - le comitive ci fanno largo: "Fate passare gli alpinisti..."
Alpinisti...
Che parolone: al massimo rocciatori, come scrive di me Andrea su "La Pelle dell'Orso".
Mica facciamo ghiaccio, noi... Fabio, quasi sulla strada, si lascia sfuggire un: "Non ho più l'età, per queste sfacchinate..."
Ma so che già sta programmando il prossimo giro, la prossima avventura.
E, inevitabile, sorge la domanda.
E' davvero possibile scegliere il proprio gioco, nel labirintico, mutevole pieno tra il vuoto iniziale e il vuoto finale?
Possiamo davvero eludere gli inganni che deva e umani seminano sulla nostra strada?
E quelli che noi stessi coltiviamo in noi?
Un occhio nell'adesso e uno nell'abisso basterà?
A scegliere e a eludere, intendo.
Mah...
***
Soundtrack - Katrien
Mogwai [Young Team]
***
Via di grande eleganza su uno dei più estetici spigoli delle Alpi Centrali.
Ambiente grandioso.
Con gli attuali materiali e un adeguato allenamento risulta un itinerario facile e piacevole. Certo, salire le placche e le fessure sotto la "Schiena di Mulo" alla meglio con le pedule di corda - e alla peggio con gli scarponi - non dev'essere stato per niente facile, per Vinci.
Non riporto una relazione mia, essendovene già molte di valide in rete.
Tra tutte segnalo questa - cascatedighiaccio.it - e questa - Gulliver.
Materiale usato: friend da 2 a 5 [mis. Ande] e qualche nut medio-piccolo [rel. 15 luglio 2010].