Sandro Zizioli in sosta durante un
tentativo
invernale
su "Skotonata Galattica" - Cima Scotoni
Sass de la Crusc
Mephisto
Schiestl, Rieser - VII/A2 (380 m. circa, zoccolo e cengia esclusi)
Sul Sass d'la Crusc
c'è un diedro di nome Octopus.
A sinistra del diedro
ci sono placche nere e compatte.
Le battezzammo Mephisto,
perché ci apparvero senza soluzione,
eppure affascinanti.
R. Schiestl Mephisto
in
R. Messner Settimo grado
Istituto Geografico De Agostini, Novara 1982, p. 205
Faust:
[...] vi si chiama dio delle mosche,
o corruttore, o mentitore.
Suvvia, chi sei tu?
Mephisto:
Una parte di quella forza
che vuole sempre il male
e opera sempre il bene
J.W. Goethe Faust
Milano, Feltrinelli, 1965, p. 67
Uno
Sabato.
Sapevo che, alla fine, Andrea - come punizione per aver dimenticato le scarpette in occasione del nostro tentativo a "Olimpo" - avrebbe fatto di tutto per portarmi non tanto all'Empireo, ma al polo opposto dell'universo mondo, ai piani di sotto, a fare due parole con Baal Zebub, il signore delle mosche, detto anche Mefistofele, colui che non ama la luce, il pungente, lo spargitore di menzogna.
E così siamo finiti su "Mephisto", via per pochi aperta da Schiestl e Rieser sul Sass d'la Crusc.
Gli accordi erano chiari: in alternata, ma io da secondo sul chiave.
La mia vertebra malmessa non avrebbe retto a un volo rischioso - scomposto, lungo e quasi direttamente sulla sosta - come quello probabile in caso di errore sugli otto m. impegnativi della sezione centrale delle placche nere: due ch. malmessi e un vecchio cordino in clessidra a proteggere un passo indecifrabile con diff. pari almeno al chiave di "Non Baciatemi", in Maddalena [ex 6c, ora gradata 7a, per chi non la conosce].
Comunque sui primi tiri facili [V+] del diedro Mayerl, non riesco a nascondere una certa inquietudine: la verticale e consumata dolomia del Sass d'la Crusc è molto meno tranquillizzante - e più faticosa - delle appoggiate e morbide fessure salite una settimana fa sulla Lama del Cengalo.
Due
Scrive Schiestl sul superamento del chiave:
"Quando ebbi portato a termine il primo passo critico, la ritirata mi fu preclusa. L'appiglio di sotto che mi permise di superare la lama [? - qui secondo me la trad. è sbagliata; nessuna lama in giro, se non una lametta verticale per la punta delle dita] era stato appena sufficiente per innalzarmi. E ora ero su due piccoli buchi. Mi ero fatto forza, mi ero precluso il ritorno, ma la paretina non era ancora terminata. Dopo una mezz'ora continuavo a non sapere dove e soprattutto come avrei dovuto continuare. Le dita dei piedi mi facevano male, ma non vedevo alcun appiglio per arrivare alla cengetta. Non potevo tornare indietro ed ero troppo vigliacco per rischiare un volo. Avrei dovuto arrampicare oltre, non pensare a niente fino a che non fossi arrivato più in alto, su terreno più facile. Ci si può concentrare solo su pochi metri per poi cercare i punti di protezione. Dopo un po' tentai. Incrociai la mano sinistra sulla destra. Un buon appiglio. Poi solo conchette nelle quali prevedevo appigli. Quando infine potei afferrare la cengetta mi accorsi che era stata solo la paura a rendere così difficile questo tratto. Questo sottile malessere che sempre mi prende quando l'ultima via d'uscita non è sicura. Sopra sentii un sonoro riso interiore che non si spense fino a che non fummo in vetta".
R. Schiestl, Mephisto, op. cit., testo consultabile in versione integrale qui: inontherocs
Anche Andrea impiega il suo bel tempo per il tiro.
Fa una bella pausa di riflessione appoggiandosi, senza caricarli del tutto, sui due chiodi, acchiappa al volo il cordino in clessidra più sopra e si dedica a lunghe meditazioni prima di uscire dall'ultima protezione.
Poi si decide: cliff nel buco della clessidra, staffa per il piede dx e via, diretto in libera sopra le protezioni.
Io, con lo zaino, ho il mio daffare già a passare - in artif. - dai due ch al cordino.
E medito a lungo prima di staccarmi dalla precaria ancora di sicurezza rappresentata dal vecchio "5 mm." variamente avvolto attorno al colonnino di roccia.
Di sicuro non posso ripetere il pass. come Andrea: se tento la sequenza diritto, devo togliere la protezione alla clessidra, alzarmi in verticale con un boulder secco [in libera] o con un cliff che dovrei abbandonare sotto i miei piedi [in artif.] e quindi proseguire come lui. Ma intuisco il probabile volo e la planata in traverso.
E con lo zaino sulla schiena, meglio evitare.
Non mi resta che obliquare a dx, a livello del cordino.
Alla fine è proprio come scrive Schiestl.
Con la differenza che io, da secondo, più mi avvicino alla cengia e più sono sicuro.
Mentre Schiestl deve aver fatto davvero un bel vuoto dentro per passare leggero - in libera e con cattive protezioni - quei quattro metri di nero rebus verticale.
Tre
Al ritorno parliamo della furia.
Tre settimane fa, salendo la A22 verso le dolomiti, Andrea mi raccontava che - nell'ultimo periodo - gli capitava di essere spesso arrabbiato. E non capiva perché.
Lo avevo aiutato a esplorare le possibili varie cause prossime - oggettive - della sua rabbia. Ma non eravamo riusciti ad arrivare a molto.
Alla fine mi era sembrato di intuire: che la sua sia la furia del guerriero, l'ira funesta di Achille?
Le leggende elleniche raccontano che Achille nacque da Teti e Peleo, lei giovane, lui anziano, uniti in nozze forzate dagli dei dell'Olimpo perché Prometeo aveva predetto a Zeus, innamorato della ninfa, che se Teti avesse avuto un figlio, avrebbe detronizzato il padre.
La solita, vecchia storia, insomma...
Teti - costretta al rapporto con Peleo - aveva un atteggiamento che oggi si direbbe "ambivalente" nei confronti dei figli avuti nel matrimonio: sei di essi morirono a causa dei tentativi di lei di renderli immortali [sic!].
Nemmeno Achille sfugge al trattamento "eternizzante" della madre: secondo alcune leggende la ninfa tenta di trasformarlo in immortale bruciandone nel fuoco le parti mortali di notte per ungerlo di giorno con l'ambrosia, secondo altre lo immerge testa e tutto - tranne il famoso tallone - nelle acque dello Stige, il fiume infero della dimenticanza [info www.sullacrestadellonda.it].
Da qui, secondo me, ha origine la furia di Achille: dall'ambivalenza della madre, che lo ama e lo odia. Lo ama come figlio, come parte di sé e come possibile detronizzatore del marito, ma lo odia come frutto della violenza subita e come rappresentante del sesso maschile. E tenta di conciliare questo duplice contraddittorio sentimento dando al figlio vita eterna, trasformandolo in eroe, spedendolo per via più o meno diretta nell'oltremondo.
Tutti i mitici figli della furia [femminile o maschile che sia] hanno un destino da eroi guerrieri: Eracle è figlio - illegittimo - di Zeus e Alcmena e subisce le persecuzioni sistematiche di Hera, moglie di Zeus, incollerita per l'ennesimo tradimento del marito [info wikipedia qui]; Ares, dio greco della furia bellica, secondo alcune leggende nasce da Hera senza la... hem... compartecipazione di Zeus, dopo che Hera era rimasta indispettita dal fatto che Zeus avesse generato Atena dalla propria testa [info qui: www.mondogreco.net].
Nel linguaggio di quel particolare mito che è la psicologia moderna, c'è una suggestiva spiegazione del fenomeno.
Melanie Klein descrive come particolarmente critica per lo sviluppo del bambino la fase o posizione schizoparanoide [tra gli 0 e i 5 mesi]:
"Il soggetto [in questa fase] vive una situazione tipica della schizofrenia in cui l’identità è diffusa [non c'è distinzione tra sé e altro da sé; l'altro da sé in questa fase è per lo più la madre, in quanto "seno"] e vive il sé e le relazioni come solo buone o solo cattive, senza la capacità di integrarne gli aspetti. Terrorizzato dalla pulsione di morte, il bambino teme che il seno cattivo perseguiti il sé buono e allo stesso tempo teme che il proprio sé cattivo possa aggredire e danneggiare il seno buono.
[...]
Nella successiva posizione depressiva "Il bambino, che durante la fase schizoparanoide ha aggredito e tentato di distruggere il seno cattivo, riconosce ora che il seno buono coincide con quello cattivo, per cui viene sopraffatto dal senso di colpa che lo spinge a riparare l’oggetto che prima ha sciupato e danneggiato. Interiorizzando le norme che regolano la distruttività interiore il bambino si assicura che l’oggetto amato non verrà più sciupato" [da wikipedia, qui].
In sintesi, che questo avvenga per una strutturale incapacità del neonato a capire quello che gli accade nel rapporto con la fonte di nutrimento e piacere [il seno, la madre, che ora c'è e ora non c'è, a volte o spesso in modo imprevedibile], per ambivalenza della madre nei confronti del figlio, per analogo atteggiamento del padre o per tutti e tre questi fattori variamente intrecciati può capitare che alcuni di noi si portino dentro un'irrisolta furia inconscia, derivante da un reale o immaginato [fa poca differenza] abbandono primario.
E può capitare che questa furia inconscia induca alcuni a vivere destini eroici, a volte con finali tragici.
E, tra i destini eroici, l'alpinismo - non a caso - "eroico": la dura lotta con l'alpe [Rey], la lammeriana scommessa con la morte, l'alpinista come guerriero.
Si pensi a M.F. Twight che, con la sua spietata e coraggiosa sincerità, scrive Kiss or Kill. Confessioni di un serial climber [Milano, Versante Sud, 2004] esplorando a fondo il suo alpinismo come furia e ribellione: "le mie migliori performance […] sono avvenute quanto ho utilizzato l’arrampicata quale strumento per evitare il suicidio invece che come metodo per conseguirlo” (p. 56) [!!!].
O a J. Simpson, figlio di militare, che, in eserga a Questo gioco di fantasmi. Storie vere di un sopravvissuto [Torino, Vivalda 1994], riporta una poesia di Sassoon: A uno che fu con me in guerra.
O - più banalmente - ad alcune espressioni tipiche dell'attività alpinistica: l'"attacco" di una via, le tecniche di "assedio" per un ottomila", le scarpette per arrampicare dal nome "katana" [la spada del samurai], la salita come "penitenziagite", l'allenamento come espiazione, ecc..
Quindi gli alpinisti sarebbero eroi? Imprudenti e più o meno donchioscotteschi o tragici guerrieri, ingannati a seguire il loro destino da una non ben compresa "furia da abbandono primario"? L'alpinismo come espressione di tendenze distruttive e autodistruttive non elaborate?
No, non direi questo.
Ognuno vive la montagna come meglio crede e a partire dalle motivazioni più varie, consce e inconsce che siano.
Ma se c'è la furia...
E se questa furia è immotivata...
Mmm...
Qui c'è odor di abbandono primario. Ed è meglio stare attenti.
Il bello è che l'alpinismo, in questi casi, non è solo destino tragico.
Ma, come suggerisce Twight nella frase che riporto sopra, contiene in sé anche una possibile via d'uscita dalla trappola. E la via d'uscita dal destino tragico sta in quel vuoto di cui scrive Schiestl: "Avrei dovuto dovuto arrampicare oltre, non pensare a niente" [tra parentesi, Schiestl morì nel 1995, a 38 anni, non in montagna, ma in un incidente d'auto, dopo aver virato - un po' alla volta - la sua carriera alpinistica verso l'arrampicata sportiva].
Nella Bhagavadgita Krishna, dando suggerimenti ad Arjuna prima della battaglia di Kuruksetra che l'eroe - figlio ancora una volta di un dio della guerra, Indra - si rifiuta di combattere contro familiari e amici, così si esprime in merito all'atteggiamento mentale che consentirà ad Arjuna di agire senza restare intrappolato nel karma, nelle inevitabili conseguenze negative della propria azione distruttiva:
"... rimanendo immerso nello yoga [unione con lo Spirito attraverso la meditazione], compi tutte le azioni abbandonando l'attaccamento [ai loro frutti]. Rimani indifferente al successo e al fallimento [mentre agisci]. L'equanimità mentale [riguardo al successo e al fallimento] è chiamata yoga..." [più avanti definito come "intelletto immobile", "dissoluzione dell'ego nel Sé"].
D'altra parte, continua Krishna:
"Tre sono le porte dell'inferno che portano alla distruzione del bene dell'anima: lussuria [o desiderio], collera [o furia] e cupidigia. Perciò, l'uomo deve abbandonare queste tre" [la Bhagavadgita è consultabile in versione integrale qui].
A prescindere dal linguaggio mitologico in cui il testo veda si esprime, almeno a me è chiaro che "yoga" corrisponde a ciò che I Ching chiama "centro" e di cui scrivo a volte, al "vuoto interiore" cui fa riferimento Schiestl nel suo racconto, alla meditazione come capacità di raggiungere uno stato di cosapevolezza intensa in azione di cui scrive Twight in Alpinismo Estremo [p. 27]. Credo non sia un caso che diversi autori - tra questi, ad esempio, Schellenbaum - identifichino in questo stato di vuoto - la coscienza aurorale - la condizione interiore ottimale per consentire alle ferite inflitte dall'abbandono primario [reale o percepito che sia] di cicatrizzare.
Il campo di battaglia - una salita alpinistica impegnativa, con un reale rischio di morte - forza e accelera il processo che porta a sviluppare questo vuoto, risanante e in grado di far attraversare indenni l'orrore.
Sì, è vero.
Prima ci si riempie di cacca i pantaloni.
Poi si vedono - non solo metaforicamente - le schiere angeliche [nel precedente post scrivevo che tra consapevolezza quotidiana e percezione del vuoto sta il regno dell'immaginario: in questo passaggio la consapevolezza ordinaria è attraversata - quando non invasa e inflazionata - dalle componenti della trama archetipica e simbolica della realtà, da dei e demoni].
Infine si raggiunge il vuoto, il silenzio.
"Quindi", mi chiede Andrea, "come si fa a distinguere
quando la furia è costruttiva e quando pericolosa? Come distinguere quando le condizioni sono giuste per attaccare una via?"
Bella domanda.
Comunque, di sicuro, se c'è furia e non si riesce a restare centrati, meglio lasciar perdere.
O, nella migliore delle ipotesi, ci si ritrova col culo per terra.
Nella peggiore...
Vabbe'...
Passo e chiudo.
***
Mi scrive Farfalla Indigesta:
News
La penultima
Commento
Troppo lungo!
Va a finire che si legge a random. Bai de uei: un po' ci hai ragione. Su che cosa ci sta in mezzo.
E c'è altro oltre alla montagna: l'arrampicata! Io per esempio mi sono già pentito di aver detto di sì al socio per domani. Sveglia presto, camminata, via, discesa, ginocchia che fan male, ecc. ecc.. Mentre invece potrei essere bello rilassato a fare qualche iperstetico tiro. O al mare, per esempio. O con una fanciulla.
Ma potrei anche schiantarmi da qualche parte mentre sto andando al mare.
Alla fine insomma io dico che: devi fare un post sulla motivazione, motore di tutta la nostra vita, altro che balle.
E poi, visto che tutto gira intorno alla motivazione [maledetta], potresti postare un video di Dakota Brookes, visto che il significato [inteso come il fine] della motivazione non c'entra proprio un qaz con la motivazione stessa.
O forse no.
Tu che sai, tu che puoi, posta. Io rimango nel mio afoso torpore. Indigest Farfalls
Respondeo
Ciao Farfalù.
Allora...
Sulla lunghezza dei post, scrivo prima di tutto per me e solo secondariamente per gli altri. Mi serve a mettere in ordine quello che mi passa per la testa. E tradurlo in un linguaggio socialmente condivisibile lo rende anche - per così dire - meno "selvaggio".
Se non vuoi leggere tutto, puoi fare come con i troppi spit in montagna: salta. Non mi offendo.
Sulla motivazione, temo di non essere in grado di dare a te la motivazione che tu non hai; o te la dai da te, o niente; se proprio vuoi, per motivarti, puoi:
- fingere, che ne so, che uno smilodon stia costantemente in agguato dando la caccia a te, proprio a te...
- o che, lì per lì, non sai quando, il cielo sia sul punto di caderti sulla testa...
- o che, alla Castaneda, la morte se ne stia lì, sulla tua spalla sinistra e ti sussurri in continuazione, come una litania: "Ricordati che devi morire..." [e tu puoi rispondere: "Mmo m'o segno"]...
- o, come scrivi, pensare che da un momento all'altro potresti schiantarti in auto, magari proprio andando al mare.
Sì, il momento ultimo incombente è un ottimo acceleratore di processo: ti fa capire che cosa vuoi davvero; ti dà determinazione nel raggiungerlo, ti rasserena se non lo raggiungi, forza la tua totalità ad aprirti come una vongola se ti orienti a fare cose che non fanno per te e, in ogni caso, crea vuoto interiore [e quindi fa bene].
Su Dakota Brookes, siamo "punto e a capo"; so che scherzi; ma perché chiedi a me di caricare sul mio sito il video di una donna che interessa a te? Fossi in te, se la tipa mi interessasse davvero, io la chiamerei e la inviterei a uscire. Se accetta, bene. Se no, c'è sempre da imparare, anche da un "due di picche". Sì, certo: la probabilità di riuscire a ottenere un appuntamento con una giovane e danarosa pornostar dell'Alabama per un - per quanto aitante - quarantareeene italiano squattrinato, nonché alpinista con una pur discreta carriera, ma in pre-pensionamento, è piuttosto bassa; e quindi io non lo farei [forse perché non mi piace abbastanza]; ma io non sono te...
Hem... Mi sa che sono stato brusco.
Colpa dell'alpinismus: accelera i processi.
Ok, per la consulenza on line, fanno 50 euri...
Scherzo, eh?
Alla prossima.
Ciao
Sandro
***
Soundtrack - Mogwai Fear Satan - Part 1
Mogwai [Young Team]
Soundtrack - Mogwai Fear Satan - Part 2
Mogwai [Young Team]
Molto belli i tiri sulle placche nere, meno interessante il resto. Può essere utile portare un kevlar con gli estremi ben rifiniti e induriti per sostituire, aiutandosi con un cliff, il cordino del chiave, ormai vecchio. Con una protezione risistemata, il pass. diventerebbe relativamente sicuro. Usata NdA [anche friend micro e friend BD fino al n° 3]. Non abbiamo utilizzato chiodi.
***
Diedro Mayerl
L1 - Muro rotto: per fessure in lieve obliquo a dx, con strapiombino finale. Occhio a quello che si tira! (40 m. - V+).
L2 - Lungo il diedro (30 m. - V+).
L3 - Ancora lungo il diedro, superando un corto pass. strapiombante e unto (20 m. - VI+/VII-).
L4 - Impossibile sbagliare: sempre lungo il diedro (40 m. - V+).
L5 - Ultimi m. nel diedro, fino alla cengia (20 m. - V-).
Traversare per circa 300 m. a sx [noi lo abbiamo fatto in conserva lunga], aggirando lo spigolo del Pilastro di Mezzo ed entrando nella conca sovrastata dalle placche nere di "Mehisto". La via attacca su una cengia dietro un fungo di roccia alto circa 20 m..
Mephisto
L6 - Per vago colatoio che scende dalla dx del fungo di roccia alla cengia; la sosta [1 ch., mi pare], è alla base di una placca grigia appoggiata, poco sotto una rampa obliqua verso dx (60 m. - III).
L7 - Superare la placca e raggiungere e salire la rampa obliqua a dx. Sosta su 3 ch sul margine dx del terrazzino al termine della rampa (30 m. - V).
L8 - Tiro chiave: dalla sosta a sx [possibile proteggere il punto di fermata con un buon friend]; placca di aderenza fino a un buco (2 ch., non proprio ottimi), 1 p. molto secco per alzarsi al cordino in clessidra [Ao per entrambi], quindi o diritti alla cengia 1 p. su cliff] e in traverso a dx fino alla sosta [Andrea] o in traverso e in obliquo a dx fino alla cengia [così ho fatto io, da secondo] e di qui alla sosta [a metà cengia 1 ch - sosta su 2 o 3 ch, non ricordo] (20 m. - VII+/A2 per la versione "Andrea" o VII/A1 per la mia versione del tiro).
L9 - Placca in obliquo a dx sopra la sosta fino a una cengia; delle 2 fessure visibili sulla dx, io imbocco quella di sx, evolventesi in alto in breve camino strapiombante; poi per rocce rotte appoggiate alla base dell'evidente diedro terminale. Nessuna protezione sul tiro. Sosta da attrezzare (60 m. - VI).
L10 - Lungo il diedro, a tratti bagnato, fino al suo termine. 1 ch. sul tiro. Sosta da attrezzare (60 m. - VI-).
Per facili roccette (20 m. - II) si esce dalla parete (rel. 22 luglio 2010).
Un ringraziamento particolare a Dario di Cremona e al suo collega che, dal Pilastro di Mezzo, hanno accondisceso alle nostre insistenti richieste e ci hanno scattato le foto che posto qui sotto.
Itinerario piacevole, anche se su roccia
delicata - ma ripulita - fino alla nostra S5 compresa.
Faticosi camini nella prima parte e belle placche fessurate nella
seconda. Impressiona pensare a Messner e Frisch su questa parete con
gli scarponi.
Lo sviluppo riportato nella rel. Planetmountain (non riporto il link
perché più volte in altre occasioni, linkata una
pagina del sito in questione, dopo un po' il link diventava inefficace)
è eccessivo: l'itinerario non è di 500 m...
Attacco - Integrazione sulla rel. Planetmountain.
Sull'avancorpo
seguire gli ometti fin sotto una serie di salti verticali dove gli
ometti sembrano sparire. La prosecuzione della traccia è a
sx (nord), oltre una dorsale. Di qui per tracce prima a sx e poi a dx e
per canale obliquo a sx e cengia a dx all'attacco della via.
L1 - Diedro - ramo di dx e non la bella lama verticale sopra l'attacco
- con un breve tratto faticoso. Sosta su 2 ch nel mezzo di un muretto
(o,
più comoda, in una cengia pochi m. sopra, più a
dx) (45 m. - V-).
L2 - A dx a un camino che si sale fino a una nicchia con ch. Appena
sotto
la sosta, tenersi a sx (40 m. - IV+).
L3 - Sempre nel camino, con arrampicata esposta. Sosta, non molto
buona, dopo 40 m., alla base di una verticalizzazione del camino (40 m.
- V-).
L4 - A sx della sosta per paretina, aggirando un primo tratto
strapiombante del camino. Appena possibile entrarvi e salirlo - ora
all'interno, ora sulla parete alla sua sx - fino alla grande cengia
mediana (35 m. - V).
L5 - Per muro fessurato di roccia rossa, dubbia anche
se ripulita, a sx, diritti e appena a dx. Sosta in nicchia (35 m. - VI).
L6 - A dx della sosta per fessura obliqua a dx e seguente diedrino. A
una lama staccata a dx con esposta arrampicata, anche in discesa
nell'ultimo tratto. Emozionante (40 m. - VI).
L7 - Diedrino sopra la sosta. Tenere sulla
sx la fascia di strapiombini sopra la sosta e, appena
possibile, traversare a sx fino alla
base di una fessura verticale - poss. sosta - che si sale fino alla
fine della parete. Tiro entusiasmante. Sosta da attrezzare sui massi
d'uscita (50 m. - VI+) (Rel. 26 settembre 2006).
Via stupenda, assolutamente da ripetere.
Il 2° tiro
(A1-A2
o 7a), dopo i primi 5-6 m., presenta protezioni precarie (cordini
vecchi e
chiodi che si flettono sotto carico): complimenti a chi l'ha liberato.
Il
tiro successivo compie un lungo traverso ad arco verso destra, per
rientrare
poi a sinistra, puntando alla base di una fessura-camino (sosta).
Salitala,
si è alla base di un catino giallo. La via dovrebbe salire
uno
dei
diedri soprastanti (roccia dubbia) per costringere poi ad un
attraversamento
strisciante sotto il tetto che chiude in alto la conca ("Il passo del
leopardo",
nella colorita descrizione di Gino Maffezzoni). Giovanni, dopo alcuni
poco
convinti tentativi lungo i diedri, preferì proseguire a
sinistra
(rampa,
poi camino fessurato ben proteggibile, 1 passo di VI+/VII- alla fine)
per
arrivare direttamente alla cengia. Dopo due tiri in traverso sulla
terrazza,
si riprende a salire in obliquo a destra (in questo tratto non
è
facile
individuare l'itinerario: si deve puntare a un sistema di diedri e
fessure
a destra degli strapiombi rossi che incombono mentre si obliqua. La
relazione
di Dinoia è sostanzialmente buona).
Via impegnativa, con un traverso tecnico
su placca da
cefalea,
ripetuta nell'estate 2004. Ne ho fatto dettagliata relazione su Planetmountain,
per cui non mi dilungo in questa sede. Come sosteneva il buon Guglielmo
di
Ockham, "Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem".
Sostenuti e ben chiodati i primi tre tiri.
Poi la via
diventa
più facile (placche) e le protezioni svaniscono. Suggestivo
l'ambiente
nel quale si svolgono le ultime lunghezze.
Via dalla linea impeccabile (un lungo e
lineare sistema
di
fessure che si segue dall'inizio alla fine). La sezione centrale
è
la più impegnativa (strapiombi gialli e rossi su roccia non
proprio
ottimale ripulita dai passaggi). Il 1° tetto (protezioni
precarie:
1 chiodo
ballerino, un mazzo di cordini infilati in non si capisce bene che
cosa,
1 chiodo distante), se fatto in artificiale, risulta più
agevole
con
"furbo". Se fatto in libera, occhio alle prese (unte). Segue un
bellissimo
tiro di VI continuo e ben chiodato e il secondo tetto (partenza viscida
su
diedro dalle pareti spalmate di burro con buone protezioni). Il
passaggio
della "Schiena di mulo" è spesso bagnato e con protezioni
precarie
(artificiale delicata - Un friend Camalot grande, che io e Giovanni non
avevamo
- potrebbe far superare molte ambasce). Non proprio immediata l'uscita
(dopo
un ultimo diedrino, traverso a sinistra fino al filo dello spigolo -
sosta
su spuntone; di qui facilmente ancora a sinistra fino alla forcella che
conduce
fuori).
Precisa la relazione di Iacopelli sul suo
recente
"Climbing
Trips". Solo i chiodi da lui segnalati sotto la fessura strapiombante
del
10° tiro non esistono (più). In compenso, ci sono
nut in
abbondanza
nella parte alta della fessura (uno abbandonato dal sottoscritto),
sempre
che i ripetitori non siano stati meno imbranati di me e siano
riusciti
a recuperarli. Il tiro, nella sua prima parte, in libera è
difficile da
proteggere. Da secondo risolsi la sequenza con un incastro di
spalla
per riposarmi prima di partire e dulfer iper atletica sul margine dx
della spaccatura, non
sempre ottimale. Poi Ralf Steinhilber e io uscimmo
per la
Costantini - Apollonio sotto una pioggia che andava facendosi sempre
più
insistente fino a costringerci ad una sosta nella nicchia su spuntone
prima
dell'ultimo traverso a sx. Attenzione, rientrando sulla
C.
A.: è possibile sia traversare nettamente a dx dopo la sosta
in
mezzo
alla placca dell'11° tiro, sia proseguire diritti e obliquando
lievemente
a dx. Questa seconda alternativa sembra migliore e più
sicura,
almeno
a giudicare dalle parole di Danilo Bonaglia.
Costantini, Ghedina - VI- (545 m. alla
nostra S14)
Bella via su roccia da buona a ottima.
Qualche presa
viscida nei punti più palpati e roccia delicata, ma ripulita
sui
gialli.
Ottima la rel della Scuola Graffer, reperibile a questo link.
Di seguito alcune integrazioni alla rel., come inevitabile datata e in
alcuni punti imprecisa.
Attacco - Imboccare la cengia da cui partono
"Costantini-Apollonio" e
"Gilles Villeneuve". La via inizia al suo margine sx, prima che si
esaurisca nei pressi di uno spigolo arrotondato.
L1 - 40 m.
L2 - 40 m.
L3 - Per favorire lo scorrimento della corda, meglio iniziare subito
l'obiquo a dx, senza salire lungo il diedro. Sosta intermedia dopo 20
m. circa (55 m.).
L4 - Diretti sopra la sosta anziché nel diedro. i 2 ch di
sosta
non ci sono più. Possibilità di fermata nei
pressi di 2
ch singoli, uno in corrispondenza di una strozzatura (scomodo) e uno
sopra un comodo terrazzino. In caso contrario, si deve arrivare a S5
con un tiro da 65 m.
L6 - Alcuni ch nuovi. Integrazioni dopo schiodature? Se mi ricordo
bene, 40 m. di tiro.
L7 - Traverso a sx. Al primo ch, in obliquo a sx fino a cengia. Per
essa e per il seguente strapiombino in traverso a sx fino alla sosta
scomoda (25 m.).
L8 - Alla fine del traverso, sosta intermedia. S8 della rel. Scuola
Graffer o non c'è più, o ora ha 1 solo ch (25 m.).
L9 - Forse è meglio spezzarla in due, facendo sosta prima
del
diedro di V+. Ma i 2 ch della sosta intermedia non sono ottimali. Se si
prosegue, o ci si ferma per fare sosta a una cl alla fine del traverso
a sx (non ho trovato ch) o si attrezza sosta (per me 1 fr 4 Ande, 1 nut
e fettuccia su spuntone) su pulpito qualche m. sopra (45 m.).
L10 - 30 m.
L11 - Abbondanza di cl di sosta. Io mi fermo a 1 cl 4-5 m. sopra il p.
di V, integrando con un fr 2 Ande in buco (55 m.).
L12 - Tiro contorto con notevoli attriti di corda anche mettendo poche
protezioni. Diverse cl lungo il tiro (di cui io non mi sono accorto!).
Aguzzare la vista (55 m.).
L13 - Alla cl con cordino rosso meglio proseguire per altri 10 m. per
diedro fino a cengia con buona cl di sosta (III) (50 m.).
L14 - In obliquo per muretto articolato. Dietro lo spigolo inizia il
canale d'uscita. Sosta su spuntone e cl (20 m.).
A questo punto ci siamo slegati e siamo saliti a piedi per il fondo del
canale. A meno di presenza di ghiaccio, comoda l'uscita dal canale a sx
(1 ch di protezione per chi ne sentisse il bisogno) (III, 1 p.) (rel. 1
settembre 2006).
Bella via su roccia da buona a ottima, ben
protetta a
spit.
I gradi non sono (fortunatamente) sostenuti come dichiarato sulla rel.
Planetmountain.
Il tiro di 6c, con chiodatura distanziata, è un bel muro
tecnico
che
richiede un'arrampicata
intelligente, ma non difficile (1 spit "lungo" piantato in modo
illogico
fuori dalla linea di salita - più in alto vi è la
possibilità
di integrare le protezioni con un friend 4 o 5 Ande). Il tiro finale,
dato
di 7a, è, secondo le parole di Coltri, che con amici stava
ripetendo
la via davanti a Ginetto Maffezzoni e al sottoscritto, non
più
di
6b+.
Alla base macabri resti della Grande Guerra: una scarpa malridotta e
frammenti
ossei forse umani (una costola?). Da qui, presumo, il nome.
Per accedere alla parete, imboccare non la prima, ma la seconda
indicazione
per la ferrata Lipella che si incontra una volta valicato il passo. In
caso
contrario si è costretti ad una lunga ed inutile divagazione
a
destra.
Ultima nota: la parete è in pieno Ovest e riceve il sole
solo a
mattino
molto inoltrato.
OS di soddisfazione nel giorno successivo
alla
ripetizione
della Via dei Fachiri, a Cima Scotoni. Poco da aggiungere a quanto
già
riportato su Planetmountain,
se non segnalare la sconcertante disomogeneità
nell'attribuzione
delle
difficoltà ai tiri: penultima lunghezza con un singolo di 6b
boulderoso
e ultima impegnativa (mi chiedo quanti la ripetano).
Via impegnativa e molto sostenuta: il
2° tiro di 7a
non
ha difficoltà così dissimili dai precedenti tiri
di 6a+.
Nel
1° tiro, anziché traversare a destra (non so dove
avrei
dovuto
farlo) proseguii diritto (VII su dadi e friend distanti e non sempre
buoni),
trovando comunque una sosta (evidentemente altri sbagliarono prima di
me).
Non è semplice individuare l'itinerario nella sezione
centrale,
nella
quale incrocia il fessurone di Los Angeles: io feci sosta nel camino
sotto
gli spit del tiro di 6b (clessidre). Ralf Steinhilber unì le
due
lunghezze
seguenti senza riuscire al primo passo di 7a, ma gli venne a vista il
7a seguente.
Le calate si fanno in corrispondenza non di un abete (rel.
Planetmountain),
ma di un pino. All'ultimo punto di calata alcune grandi gocce possono
bloccare
la corda (come avvenne a noi, nonostante le precauzioni): abbassare
bene il
nodo. Una cordata che era salita su un'altra via scese a piedi
costeggiando
la parete a Ovest (soluzione preferibile: le calate non sono sempre
ottimali).
Ralf, Giovanni e io salimmo alle Tre Cime
in una
giornata
di tempo interlocutorio (cumuli si addossavano minacciosi alle pareti)
e
attaccammo la via rassicurati dai consigli di una posteggiatrice.
Beh, mai fidarsi delle posteggiatrici: alla sosta del primo tiro in
placca
sopra i gialli, la tempesta ci piombò addosso inesorabile.
Secondo
la relazione di Planetmountain di lì si sarebbe potuto
traversare a
sinistra su cenge fino all'intaglio tra la Piccolissima e
Punta
Frida.
Non è così: a sinistra della sosta vi sono
placche facili
che
poi si verticalizzano. Ralf, sotto la grandine, traversò a
sinistra,
poi scese 4 metri, traversò ancora ed entrò in un
camino
nel
quale fortunatamente trovò una linea di calate (50 m. di
doppia
su
strapiombi fino al fondo del canale). Recuperate le corde dell'ultima
doppia,
dal canale scese l'onda di piena (avessimo impiegato 5 minuti di
più,
saremmo stati travolti). Mai fidarsi delle relazioni in generale (e di
quelle
di Planetmountain in particolare).
La via è comunque bella. Il tiro di VI+ sui rossi presenta
più
possibilità di salita: a destra (placca nascosta), diritti
(chiodi
nuovi su fessura strapiombante all'apparenza sostenuta), a sinistra
(fessura
verticale con roccia poco compatta e su chiodi vecchi). Io optai per la
sinistra.
Il tiro di VII- ha molti chiodi... precari.
Uno - Domenica - Epilogo: Marche ou...?
Scendendo dalle Scale di Adamé [sono le 18:00; e fa un caldo becco], a mente faccio un paio di calcoli sui miei spostamenti di questi ultimi due giorni.
Alla fine comunico i risultati a Giovanni, che sta scendendo davanti a me.
"900 km in auto, 1600 m. di dislivello, di cui 600 in arrampicata, 17 tiri [dal V+ al VII+/VIII-]... Sono stravolto."
"Ma devi allenarti, Toni!", fa lui.
"Ma che 'allenarsi'..."
Se va avanti così, in un paio di settimane mi asciugo. Già adesso sono tiratissimo.
E poi devo stare attento alla rickettsiosi/ehrlichiosi [o alla borrelia, o come diavolo si chiama la bestiolina che mi ritrovo addosso, se c'è ancora].
Ieri, su L2 di Love My Dogs [VII+/VIII- appena strapiombante a tacche, per la cronaca incomprensibilmente a vista], ventilavo stile mantice.
Sì, è vero che oggi ho salito le Scale di Adamé zampettando come una rupicapra.
Però le due strane lesioni che ho sulla pelle [e che fino all'altroieri erano rimarginate] si sono riaperte.
Troppo stress?
Troppo carico?
Vedremo stanotte, se cadrò in letargo al primo contatto con le lenzuola.
Due - Sabato - Prologo e atto primo: Il ruotino da criceto dei forzati dell'alpinismus
"Per arrivare al passo Giau", dice Gino, "la strada più rapida è passare per Brunico."
Lo guardo dubbioso.
In effetti, arrivando al Falzarego dalla Val Badia e non dalla Val Gardena, due passi si risparmiano.
Però...
Mah...
Beh, proviamo: vada per Brunico.
All'uscita di Brixen, la nostra, mentre io sto parlando al cell con Daniele che mi chiede info su Motorhead in Grimsel, Gino mi domanda se dobbiamo uscire lì.
Io, immerso nella conversazione, non leggo le indicazioni stradali e gli faccio segno di no, di andare avanti.
Purtroppo non ci sono altre uscite fino a Sterzing-Vipiteno [quello dello yoghurt], 20 km troppo a nord.
Ginetto è buono e a Sterzing non mi fa scendere dall'auto, lasciandomi là - come meriterei - a meditare sulla mia stupidità e a consolarmi - nonché a ripristinare la mia flora batterica intestinale - con lo yoghurt.
Arriviamo al Giau con 30' di ritardo sulla tabella di marcia.
Sarà un guaio: questa sera alle 21:00 al più tardi dovrei essere a Castenedolo, per presenziare alla festa finale di un progetto che seguo.
Avvicinamento e salita scorrono tranquilli, anche se affannati [non so se per la miocardite, la quota e/o lo scarso allenamento]. Su Re Artù, alla nostra sx, arrampica una cordata di triestini che annovera tra i suoi componenti un signore che ha tutta l'aria di essere Spiro Dalla Porta Xydias, in forma smagliante a dispetto dell'età.
Il sospetto è confermato dal fatto che gli altri due chiamano il signore "Maestro".
In un modo o nell'altro, evitati inghippi nell'insidioso canalino attrezzato a doppie per la discesa, alle 18:00 siamo all'auto e ripartiamo per casa.
Decisamente tardi.
Questa volta sta a me decidere sulla strada del ritorno.
Io, per rivedere le Pale, propongo Rocca Pietore, Alleghe, Agordo, Feltre, Valsugana, Bassano, Vicenza, A4.
Mentre passiamo ad Agordo, mi scappa uno sguardo nostalgico a ovest: i raggi del sole forte dell'ultimo pomeriggio tagliano la valle di San Lucano e illuminano di sbieco le Pale.
Così sembrano ancora più maestose.
"Non hai già dato abbastanza, là sopra?", dice Gino, che se ne accorge. "Che cos'è? Una via là sopra ti fa sentire più uomo?", chiede.
"Mah, non direi... E' un posto mistico", mi viene da rispondere: quelle montagne sono uno degli ultimi luoghi al mondo con un nonsoché che mi lascia come se ci fosse qualcosa, oltre.
E no, non sono mai tornato da lassù con la sensazione di essere un drago. Anzi...
Gino sta zitto. Penserà che ognuno è strano a modo suo.
Sì, la mia risposta è stucchevole. E lascia il tempo che trova.
Però la sensazione di trovarsi di fronte a un varco verso altro resta.
Anche tutta quella luce, quella gloria, al tramonto, questa sera...
Ripeto: mah...
Tre - Domenica - Atto secondo: Giovanni e i suoi trabocchetti
Alle 21:30 - stiamo passando dalle parti di Verona - chiamo Giovanni. Eravamo d'accordo che gli avrei fatto sapere se l'indomani sarei andato in montagna con lui.
No, gli dico, sono troppo stanco. E preferirei starmene a casa tranquillo a riposare. Meglio non sfidare la sorte.
Però lui non ha socio: non posso tirargli il pacco.
E domani arrampicare in basso sarà impossibile.
Quindi...
"Ok, partenza alle 6:30, non prima. E via corta."
"Va bene. Una via in Val Adamé. Ne ho vista una nuova di 8 tiri, a un'ora dall'auto."
"Approvata", dico stancamente.
Finisco la serata presenziando di sfuggita alla festa in pantaloni di pile e maglietta sbracciata tecnica in capilene con aromatizzazione al "savor de omo" [cit.].
Il mattino dopo, al parcheggio di Malga Lincino, Giovanni mi tira fuori la rel. di Ultima Tentazione, alla Nord Ovest del Corno di Cavento.
440 m., VII- e 1 p. Ao.
Mmm... Sento puzza di bruciato.
"Chi l'ha aperta?", chiedo.
"I fratelli Ferri..."
"Fratelli Ferri": "gradi Marmolada" e poche protezioni.
No.
Guardo alla parete.
Il nevaio basale è alto e bello ripido e il nevaio mediano ancora carico.
"La parete sarà bagnata. E non abbiamo i ramponi. E poi... Fratelli Ferri... No, grazie: ho già dato. Io sarei per Bugs Bunny [la nostra prima scelta]. Se la via dei Ferri è dura, saliamo a comando alternato?", dico.
Giovanni nicchia.
Dubbi residui risolti: vada per Bugs Bunny.
E ciucciarmi le dita se riuscirò a salire quella.
Alla fine in 4 ore siamo fuori [via simpatica e ben chiodata, con difficoltà molto elevate - per i miei standard - in libera, su bella tonalite; peccato, come al solito, per l'erba; d'altra parte le pareti migliori della bassa valle sono state già occupate dai primi esploratori; e a Paolo Amadio non resta che tracciare vie sul rimanente].
Al ritorno, al rif. Lissone, Domenico Ferri ci corregge: Ultima Tentazione è del fratello Dino. Dice che è poco ripetuta.
"E' più difficile delle tue vie al Coster dello Hobbit?", chiede Giovanni.
"Sì", risponde lui laconico.
Noi, all'epoca, nemmeno sognavamo di mettere le mani - che ne so - su Controllo Totale, laggiù, in fondo alla Valle: sostenuta, protezioni rarefatte, indispensabile abbondante pelliccia a ricoprire lo stomaco.
Per la proprietà transitiva dell'uguaglianza Ultima Tentazione dev'essere una rogna al quadrato.
CVD.
Guardo Giovanni di traverso.
Fatto bene a non andare: puta caso che mi salta fuori la mega zecca da 3 m. x 2 e mi dice: "Altolà".
E poi sulle schiere angeliche ormai so già abbastanza.
O, forse, alla fine è che non sento il brivido, quello che sentivo sotto le Pale.
Ah, dimenticavo...
La sera, niente letargia.
Incrociando le dita, forse - e dico "forse" - sto recuperando.
Quattro - Tenete d'occhio il sito...
E scaricate tutto quello che vi serve, relazioni o altro.
L'ispirazione latita. E faccio sempre meno salite interessanti, con sempre meno voglia di scrivere.
Di qui a un mese è possibile che chiuda sandrodetoni.it [oppure lo lascio on line - senza aggiornarlo - fino alla scadenza dell'abbonamento al provider]: d'ora in avanti sono orientato ad arrampicare solo per me. E il meno possibile su vie da contatti ravvicinati con potenze ultraterrene. Me spias...
Sapete com'è. En poc per ü en bras a la mama.
***
Soundtrack - Strange
The Doors - People Are Strange [1967]
***
Divertente e ben chiodata via a fix in ambiente eccezionale: a nord le Tofane, a sud il Pelmo, a sud-ovest la Civetta, a ovest la Marmolada.
Insomma, si è al centro delle Dolomiti.
Usati solo rinvii.
Ecco le solite integrazioni alla rel. Planetmountain.
L3 - Tiro atletico e faticoso. Primo pass. col trucco. 3 tentativi prima di passare in libera.
L5 - Placca e diedro.
L6 - E' lunga almeno 55 m. Per accorciare le protezioni possono essere utili friend di misura uguale e superiore al 3 BD.
L7 - Passo chiave a sx un po' più facile. 3 riposi sul "chiave".
L8 + L9 - Lunghe almeno 55 m.
Discesa - Di cuore, è meglio fare il giro evitando le doppie. Alla fine si rischia di tirarsi addosso detrito di dimensioni ragguardevoli e si risparmia davvero poco tempo [rel. 13 luglio 2011].
Via bella su roccia ottima in ambiente
magnifico. Prima
di
arrivare all'attacco, Gino Maffezzoni ed io incrociammo un branco di
camosci.
I gradi della relazione Planetmountain sono, secondo me, imprecisi e
fortunatamente
benevoli. Credo sia una mossa voluta da parte degli apritori:
è
meglio essere ricordati per aver garantito ai ripetitori di passare a
vista
su gradi "alti" piuttosto che per
averli indotti a maledire il giorno in cui... hanno deciso di salire
l'itinerario.
Tuttavia ritengo rischioso gradare
le vie in maniera disomogenea all'interno di un medesimo sito: il 6c di
Supertegolina è almeno
un grado
sotto il 6c del tiro finale della Soldà a Punta Penia ed
è protetto
molto meglio.
In ogni caso, complimenti agli apritori. La linea è elegante
e
chiodata
come si deve (per una via sportiva).
Questi i gradi tiro per tiro (secondo me), con alcuni
suggerimenti per
chi intende ripetere la via.
1° tiro, 6b di fessura con due passi di blocco. Scaldarsi i
muscoli, onde evitare lesioni al bicipite del braccio destro
(come stava accadendo a me, motivo per il quale mi fermai, bruciandomi
la
libera,
per piazzare un friend in artif. dopo aver aspettato che la contrattura
si
sciogliesse).
2° tiro: 6b+ placca ascendente verso destra. Astuzia.
3° tiro: 6c, se di sta sulla linea degli spit, un passo di
blocco
al 3° spit, in corrispondenza
del
kevlar in clessidra: è difficile il
moschettonaggio
del cordino. Più facile traversare a destra bassi e poi
salire
diritti.
4° tiro: 6c di continuità. Astuzia e movimento.
5° tiro: 6b, faticoso.
6° tiro: 6a, diedro di impostazione, non banale.
7° tiro: V. La relazione suggerisce di salire senza via
obbligata.
"Quod
ego feci", proseguendo, "alla vecchia", dopo aver superato lo
strapiombo iniziale
e il seguente canale, per camino e successiva lama. Ma la via sale
più
destra, per placche (spit poco visibile alla prima cengia che si
incontra
salendo).
8° tiro: 6b+, faticoso, solo 10 metri. Poi la via devia a
destra
per entrare
in un canale appoggiato. Se si vuole scendere in doppia, è
meglio
calarsi dalla sosta che si incontra all'imbocco del camino.
C'è poco da dire.
La parete è maestosa e impressionante; e l'itinerario, se si riesce a individuarlo dal basso nel dedalo di diedri e camini della Nord-Ovest, di grande eleganza e dirittura. Però, a dirla tutta, ci sono vie più belle da arrampicare.
E non è solo perché mi ha risputato indietro due volte.
Chiodatura severa; protezioni distanti; difficoltà elevate; roccia da valutare.
Necessario un ottimo allenamento sia sulla difficoltà [meglio avere un buon 6c a vista consolidato] che di fondo.
Molte le rell. in rete. Sergio Ramella ne raccoglie parecchie, tutte - alla fine - con diverse imprecisioni [d'altra parte relazionare più di 1.000 m. di via presta inevitabilmente il fianco a inesattezze].
Rispetto al tracciato riportato sotto il link "Relazione" [in buona parte tratta da gulliver.it], modificare così L11.
L11 - Imboccare l'ampio diedrone giallo a sx della cengia [a circa 1/3 di parete] salendo dapprima per diedrino grigio circa 10 m. a sx del suo fondo e rientrando poi a dx nei pressi del fondo [V/V+ - 30 m.]; sosta su 3 ch nei pressi di una cengetta.
Belle le photogallerygapclimb e cornodicavento [complimenti a Carlo Codenotti e Marco Taboni per la rapidissima ripetizione di quest'anno] [rel 9 settembre 2012].
Commento
Grazie per i complimenti.
Per la relazione volevo solo dire che, se uno segue il Dinoia, dopo il famoso passaggio del foro si fa un tiro da 30 mt. circa e si sosta. Qui il Dinoia chiama un traverso a dx [vecchie corde che penzolano]. In realtà la via continua nel diedro di sx. Lo scrivo perché conosco ormai 6-7 cordate che, seguendo alla lettera la relazione, in quel punto hanno sbagliato [noi compresi, anche se poi abbiam capito subito l'errore].
Ciao e grazie.
Marco
Respondeo
Ciao Marco.
Grazie a te.
Io sapevo che da qualche parte molti sbagliavano, Ralf Ivan e Danilo compresi; ma non sapevo con precisione dove.
Me lo segno.
Non si sa mai che non riesca a fare un altro tentativo, nei prossimi anni.
Buone arrampicate.
Ciao
Sandro
Torre Venezia
Via Ratti - Panzeri
Ratti, Panzeri - V+/Ao (400 m.)
Bella via su roccia buona, tranne
all'attacco (lunga
cengia,
con tratti friabili, da percorrere verso destra fino alla fessura in
corrispondenza
della quale inizia la via). Il tiro di V+/Ao è liberabile:
chiodatura
buona e ravvicinata. Essendo ad una delle mie prime avventure
dolomitiche
mi emozionai in maniera indebita e tirai una protezione. Grande
esposizione
su tutte le lunghezze. Verso la fine c'è un fantastico tiro
di
IV su
roccia nera a buchi. La discesa, come è noto, è
complicata.
Per questo non me la ricordo neanche un po'.
Viaggio di ritorno, in auto.
Commento di Giovanni: "Sai, Sandro... Per migliorare il tuo
sito, dovresti infarcire con più fantasia le tue
relazioni... Insomma raccontare più palle...
E magari scrivere di argomenti più bukowskiani..."
Argomenti più bukowskiani...
"Mmm... Sì, insomma...", lo guardo, perplesso.
Ma lui prosegue: "E raccontare più palle...".
"Mmm... Ottima idea...", aggiungo ironico.
Metacommento di Dario Sandrini: "Sandro... Non scrivere più
delle vie che facciamo... Tanto tutto è uguale a
tutto... Non ci sono più vere imprese... E raccontare le
salite che si fanno toglie loro autenticità..."
Riflessioni profonde, insomma.
E, forse, un accenno di svolta editoriale per questo umile sito.
Quindi, questa settimana, a titolo sperimentale, due introduzioni alle
salite del week end: una vera e l'altra falsa.
Agli sporadici lettori capire quale sia l'una e quale l'altra.
E alle ancora più sporadiche lettrici, un "perdonatemi" in
anticipo per il bieco maschilismo intrinseco in quanto
seguirà.
Ma, se devo scrivere alla Bukowski, sia.
La colpa è di Giovanni...
Prima intro Le tromboamiche del dolomitista
Tutto iniziò in falesia, durante l'allenamento del
giovedì.
Il discorso, non so come, cadde su un argomento hot:
le tromboamiche.
Il termine, presente nei posti più diversi anche in altre
forme
("trombamiche", "scopamiche", e simili), ha in tutti i casi
un'unica accezione: femmina umana, di evidente natura mitica,
sempre disponibile, e senza condizioni, alle più svariate e
bollenti attività sessuali.
Dario e io, arrampicatori duri e puri, ignari dell'argomento, eravamo
intervenuti nella discussione con un unico, laconico commento:
"Interessante, la storia", senza nemmeno sospettare che quello che
stava avvenendo era un presagio di quanto ci sarebbe accaduto nel fine
settimana.
Sabato sera.
Ore 20,30.
Arriviamo al Vazzolér, dopo la Gabriel-Da Roit (attaccata
tardi perché il sottoscritto non ha sentito la sveglia e si
è alzato solo dopo che Dario e Giovanni sono venuti a
tirarlo giù dal letto, a casa).
Sappiamo di avere solo per miracolo le nostre tre misere brandine nel
bivacco invernale: il gestore attende una comitiva di ben 54
ospiti.
Entrando nel rifugio per una birra, scopriamo che i 54 ospiti sono
allieve infermiere fiorentine salite al Vazzolér per una
sessione formativa montana al cospetto di quelle maestose
pareti.
7 di loro sono con noi, nello stanzino basso del bivacco.
Non vi dico come andò la notte...
Per farla breve, nonostante lo stravolgimento fisico e la birra, e
nonostante il mio pipino che, sulle prime, proprio non ne voleva
sapere, furono ore di fuoco...
All'alba, alle 4.30, la sveglia del mio orologio suonò
ancora una volta invano...
Seconda intro I trombi cerebrali del dolomitista disidratato
Tutto come sopra, fino al rientro al rifugio.
I 54 ospiti attesi al rifugio sono membri di una sezione fiorentina del
CAI in adunata, sempre sotto le stesse monumentali pareti.
Birra e valutazione con Ivan Maghella - anche lui al
Vazzolér, ma
con l'obiettivo di salire la Messner al Castello di Busazza - su che
cosa fare il giorno dopo.
La Gabriel-Da Roit ci ha prostrati.
Quindi niente vioni.
Beh, insomma...
Al massimo la Castiglioni alla Busazza...
Alle 4.30, sveglia.
Dario chiede: "E' la nostra?".
Sì, è la nostra, purtroppo...
Giù dalla branda.
Colazione, mezz'ora abbondante di cammino fin sotto la ovest della
Busazza e poi,
in ossequio alla rel. Kelemina, un'ora per roccette arrivando
a
margine
sx degli strapiombi basali.
Perdiamo tempo cercando di aggirarli a sx, ma... Niente da fare: non si
passa: o è cambiata la montagna, o è sbagliata la
relazione.
Giù e, per ghiaioni, alla Torre di Babele.
Ivan ci ha parlato bene della Soldà.
Alla base della parete mi scappa da pisciare.
Mi intrufolo in una profonda spaccatura a sx del canale tra Torre e
Gnomo.
Dario fa: "Come è pudico Sandro...".
Ribatto: "Sai com'è... Volevo infilare il mio pipino in
questa vagina cosmica".
E Dario: "Ah, ho capito... E' una penetrazione simbolica...".
"Molto simbolica", dico.
"Hey", interviene Giovanni. "Lì volevo metterci la mia roba
da mangiare in fresca".
"Troppo tardi", concludo.
Saliamo la via abbrustolendoci per bene; Dario maledice il fatto di
non trovarsi, in una giornata così gloriosa, su una
grande parete a combattere allo spasimo; io riesco a perdere le doppie
in calata; e, Giovanni, tra un saltello e l'altro sui massi
del canalone di discesa, inizia a elaborare i suoi perfidi suggerimenti
letterari.
Disidratati, nel nostro cervello il sangue si condensa, non
abbastanza da causare trombi mortiferi, ma a sufficienza da
suscitare gli sconclusionati dialoghi di cui all'incipit.
Quindi, all'incipit, è ora possibile
tornare.
E ripetere la lettura del testo ad libitum...
Anzi ad libi...
No, meglio di no...
Troppo scontata, come chiusura...
Mah...
Non è venuta un granché...
Che ne dici, Gio'?
Integrazioni all'ottima rel. Rabanser.
L1 - Per rocce verticali ma facili fino a un ch. Sosta da integrare (50
m. - IV-).
L2 - In obliquo a sx per placca tecnica poi più o meno
diritti fino a una cengia. A dx a una macchia di mughi a cui si fa
sosta (45 m. - IV).
L3 - In obliquo a sx per rampa fino a una lama; dopo di questa diritti
fin sotto un tetto, a dx e in obliquo a dx per muretto tecnico alla
sosta (45 m. - IV+).
L4 - Appena a dx della sosta, poi diritti per placca compatta; puntare
a un ampio diedro sotto un tetto giallo; sosta da attrezzare con friend
(50 m. - IV+).
L5 - Tiro con linea non facile da individuare; a sx della sosta,
diritti su placca; appena possibile a sx, aggirando uno spigolino; di
nuovi diritti per fessura; poi - mi pare - a sx e, per placca
articolata, diritti fin sotto una fascia di strapiombini; oltre, su una
comoda cengia, la sosta sotto una fessura obliqua a dx (50 m. - V).
L6 - Per la fessura obliqua fin sotto un tettino fessurato (lasciare a
sx grandi tetti gialli); oltre il tettino a sx per cengia e rampa fino
a terrazzino con mugo (55 m. - V+).
L7 - A dx per terrazze, poi diritti tagliando la cengia mediana
(Bancon) fino a un avancorpo appoggiato alla parete; sosta da
attrezzare (50 m. - II).
L8 - Salire sull'avancorpo per il camino che questo forma sulla sx con
la parete; al suo vertice diritti e a sx fin sotto una fessura
verticale con cordone e ch; al suo termine a dx alla sosta (20 m. - V+).
L9 - A dx fin sotto il tetto; lo si supera (1 p.a. per me; in libera
per Giovanni Mostarda e Dario Sandrini) poi diritti nel soprastante
camino e a dx fino a 2 ch; si sale la soprastante placca fessurata e si
arriva alla sosta per successiva fessura; bel tiro (20 m. - VII/A1 o
VIII-).
L10 - Tiro chiave. In traverso a sx fino al secondo ch; da questo
diritti per placca di difficile lettura (diversi ch, non tutti buoni),
fino a cengia; per questa a dx alla sosta (25 m. - VII-).
L11 - In obliquo a dx per diedrini a una cengia sulla quale si traversa
a dx fin sotto la lama staccata (55 m. - V-).
L12 - Lungo la lama, poi 2 m. a dx e quindi a sx sotto un sistema di
strapiombi inclinato da dx a sx; sosta su cengia (40 m. - VI+).
L13 - In obliquo a sx per la continuazione del sistema di strapiombi
fino a poterlo rimontare a dx; quindi per diedro impegnativo alla sosta
(35 m. - VI-). Una cordata, domenica, ha salito la rampa sotto gli
strapiombi fino al suo termine ed è poi salita alla cengia
di sosta; difficoltà: ?
L14 - Sul fondo del diedro fino a 2 ch; a questi traversare a sx per
qualche m. e salire diritti per bella placca fino al camino a sx del
tetto che chiude il diedro (40 m. - V).
L15 - A scelta, a sx o a dx della sosta (a dx poss. 1 passo secco), si
oltrepassa un muretto e si sale alla cresta tra parete E e parete O (25
m. - a dx 1 p. VI se si sta nei pressi della sosta; più
facile molto più a dx) (rel. 17 luglio 2007).
Raccomandabile per la qualità
della roccia e la linea elegante. Gradi sostenuti.
Attacco - Si sale nel canale tra Gnomo e Torre di
Babele e, passati
sotto un blocco incastrato, si arriva alla cengia da cui inizia la via.
L1 - A dx sulla cengia fino a un diedro; se ne salgono 3-4 m.
e si traversa a dx fino a una cengia; quando questa scende, traversare
a dx per placca (1 ch) fino a una sosta quasi nei pressi dello spigolo
della Torre (35 m. - V-).
L2 - Diritti per fessura sopra la sosta; a un'evidente cengia
traversare a sx fino a un punto di fermata (si è sulla
verticale del diedro del primo tiro; forse è possibile
arrivare a S2 senza il lungo giro descritto (25 m. - V-).
L3 - Sopra la sosta per fessura e poi più o meno diritti
fino a un ultimo salto verticale servito da 1 ch; a una stretta
cengetta a dx, a una sosta in nicchia; occhio alle merde di sosta! (40
m. - V+).
L4 - Diritti sopra la sosta; a una cengia sotto un tetto a sx fino a un
punto nel quale gli strapiombi cedono; oltrepassarli; diritti per
qualche m. ; poi in obliquo a sx per rampa e bella placca a grandi
prese fino a una cengia; per questa a sx a un punto di fermata sotto un
evidente diedro; piazzare bene le protezioni (40 m. - V).
L5 - Salire il diedro fino al suo termine, in una nicchia sotto grandi
strapiombi; sosta da attrezzare in clessidra (35 m. - V).
L6 - Salire la fessura-camino strapiombante sopra la sosta (ottime
prese); al suo
termine, alla cengia mediana, traversare a dx e aggirare lo spigolo Sud
della Torre; alla base di un bel diedro fessurato, la sosta (55 m. -
V+).
L7 - Salire lungo il diedro; dopo circa 35 m., sotto un muro a scaglie,
traversare a dx di 4-5 m. (40 m. - V+ sost.).
L8 - Diritti e in obliquo a sx fino a una cengia (poss. sosta comoda, a
8 m. dalla precedente); per la cengia a sx fin sotto un diedrino;
salirlo, uscendone a sx verso la fine e proseguire più o
meno sul filo di spigolo per bella roccia; Dario attrezza sosta dopo 30
m. (2 nut e 1 fr) (30 m. - VI-).
L9 - Diritti per rocce articolate, ma non banali fino a un terrazzino
(sosta attrezzata, a ca 8 m. dal punto di fermata di Dario); alla sua
dx salire un diedro; al termine più o meno diritti
fino a una cengia sotto un diedrone di roccia in apparenza non molto
solida (30 m., mi pare - V).
L10 - Salire il diedro; al suo termine a dx per faticosi muri verticali
di roccia molto buona; Dario attrezza sosta in corrispondenza di un
terrazzino sotto i gradoni finali (55 m. - V sostenuto).
L11 - In obliquo a dx per facili rocce fino alla cresta terminale (25
m. - II/III).
Discesa - Dalla cresta piegare a dx (Nord-Ovest)
fino a una forcella
sul filo con uno spuntone e cordoni di calata; noi - mea culpa - siamo
scesi a sx, faccia a valle (Sud Ovest); molto meglio scendere in
obliquo a dx, faccia a valle, in parete piena (Nord Ovest - non
scendere nel canale sottostante!); una doppia da circa 30 m. porta a
una solida calata con cordone viola su terrazzino. Le calate a sx sono
vecchie e male attrezzate (rel. 17 luglio 2007).
Ripetuta recentemente con Filippo Nardi,
Beppe Lupezza
e Renato
Santulli. Via che avevo sottovalutato (Ginetto Maffezzoni mi aveva
raccontato
di averla ripetuta in 6 ore), ma che mi impegnò a fondo.
Linea
tortuosa
su roccia non ottimale nella 1° parte (fino alla 2°
cengia),
con
diverse possibili alternative di salita. L'ultimo torrione (300 m.)
presenta
invece una roccia compatta, a tratti unta, lungo una linea
impeccabile. 1 p. a. sull'ultimo tiro dato di VI-/A2 sulla guida
Kelemina
(liberabile,
ma non ebbi il coraggio di affidarmi a una presa ballerina,
né
di consolidarla
con un ben assestato colpo di martello). Gradi molto sostenuti: sia la
rel.
Kelemina che quella Dall'Agnola propongono difficoltà i cui
corrispettivi
su roccia sono equiparabili a quelli che si ritrovano in Marmolada).
La discesa è, come è noto, complessa e, almeno
per come
la abbiamo
fatta noi, si svolge, nella prima parte compiendo una specie di spirale
attorno
alla Torre, partendo da Ovest. Si scende tramite corda fissa
nel grande intaglio
che divide a metà la cima: un'asola al termine della fissa
permette di
calarsi
ad una cengia sottostante da percorrere verso Nord fino ad una doppia
in camino.
Calatisi, si traversa ancora a Nord verso una forcella (tra Torre
Trieste
e Busazza) che dà sul versante Est. Di qui, tre doppie fino
ad
un
allargamento del canale. A destra di questo (Nord) una cengia di roccia
compatta
in 10 m. porta ad un fittone resinato. Due ulteriori doppie conducono
ad
un'altra ampia cengia (posto da bivacco), sulla quale si traversa a
destra
(Nord) per 40-50 m. (1 p. delicato di III) fino ad un altro fittone.
Con 2
doppie si è alla 2° cengia (dove noi bivaccammo,
essendocela
presa
un po' troppo comoda durante la salita). A questo punto si prosegue
(ometti)
sul vertice di uno sperone ghiaioso, fino a piegare a sinistra (Est)
seguendo
l'evidente traccia per prendere una calata su fittone (il famoso mugo
secco
dal quale ci si calava una volta non esiste più).
Un'altra
calata nel sottostante canale permette di scendere ad un anfiteatro che
si
taglia verso Est (tracce) per andare a prendere l'ultima linea di
doppie (4)
in un canale ancora più a Est. Attenzione ai sassi (Info
giugno
2004).
Durante la discesa, stremato, mi arrabbiai inutilmente con Renato e
Beppe.
Chiedo pubblicamente venia.
Tendenze proletarie in discendenti di stirpi nobili,
istinti criminali in figli di gente per bene, fin troppo buona,
una pigrizia singolare negli eredi di persone energiche,
che hanno sempre avuto successo,
non sono soltanto conseguenze di una vita
che volontariamente non è stata vissuta,
ma derivano anche da una legge di compensazione del destino,
funzionale a un'etica naturale
che tende ad abbassare chi stava in alto
e a innalzare chi stava in basso.
E, contro questo, non serve né l'educazione, né la psicoterapia.
Entrambe potranno soltanto - se be applicate - essere d'aiuto
nel compito che l'Ethos naturale richiede da noi nella vita.
Si tratta di una colpa impersonale dei genitori
che i figli dovrebbero pagare
in modo altrettanto impersonale.
C.G. Jung,
"Introduzione" in
F.G Wickens Il mondo psichico dell'infanzia,
Roma, Astrolabio, 1948
Un abisso
chiama
l'abisso
Salmo 42,8
1. Sole a nord
E noi - Ralf e io - che avevamo scelto lo spigolo Gilberti, esposto rigorosamente a nord - perché la meteo dava lo zero termico all'incredibile valore di 4.200 m slm a h 14:00...
D'altra parte un "coso" alto 1.600 e con uno sviluppo di 2.000 m deve in qualche modo protrudere verso l'esterno di un bel po', portandosi fuori dal cono d'ombra di una parete - sì - gigantesca, ma pur sempre verticale.
E il sole, quasi allo zenith per il nostro emisfero [wikipedia], per ben poco è rimasto dietro la parete, nei due giorni in cui l'abbiamo attraversata.
2. Duello aereo
Mentre Ralf è impegnato sul solido IV+ di L6 [rel. sassbaloss], sento dietro di me uno stridio ripetuto.
Mi volto a guardare: un falchetto o un gheppio [insomma, un rapace di piccole dimensioni] in volo sta attaccando una grande aquila bruna.
Quella non contrattacca.
Si limita a reagire con rotonde, improvvise virate e, piano piano, si allontana.
E l'altro - il falchetto o gheppio che sia - giù a darle addosso, e stride.
L'aquila, silenziosa, vira più in là e si allontana.
3. Un abisso chiama l'abisso
Su questo spigolo si sale e si sale.
Fai 300 m di dislivello, poi un tratto quasi orizzontale; altri 400 m di dislivello e ancora in orizzontale.
Intanto, sotto di noi, lo spigolo si allunga in una serie di balze che sembra farsi infinita.
E dall'altra parte della valle il feroce, labirintico regno delle Pale scorre abbassandosi, rimpicciolendosi.
Per un po', mentre faccio sicura a Ralf, riesco a guardare in dettaglio le complesse architetture rocciose delle quattro terribili sorelle.
Noto le cenge, i canali alberati, i diedri, le probabili linee di avvicinamento e le possibili vie di fuga.
Sulla Quarta Pala scorgo anche la frana che sembra aver portato a valle l'ultima parte della Casarotto-Radin di sx: la placca di roccia cotta su cui Ralf ha visto le schiere degli angeli parrebbe essere stata limata da imponenti volumi di roccia staccatisi appena sopra, forse quelli che costituivano i fatiscenti diedri d'uscita di sx e di dx riportati sulle più recenti rell. [forum.planetmountain].
Non riesco a capire.
Certo, la placca è ricoperta di polvere bianca da stacco e frizione.
E il pilastro sottostante è segnato da analoghe cicatrici.
Però... Boh!
Ralf chiama.
È arrivato in sosta.
Ora di andare.
Sì, le Pale, regno di spietata ferocia, scorrono verso il basso, facendosi piccole, apparendo innocue.
4. Niente grilli sull'Agner
Siamo stati costretti a lasciare dietro di noi l'incantevole cengione più o meno a metà spigolo, un posto idilliaco: un prato verde appena inclinato, un magnifico larice a svettare tra i mughi, un macigno sotto il quale schiere di alpinisti hanno pernottato sistemando un accoglientissimo posto da bivacco.
Sono solo le 16:00. E siamo troppo in basso.
Lasciamo dov'è anche il camino che si staglia sopra la cengia [variante dei triestini] e aggiriamo a dx il filo dello spigolo che, in questo tratto, ha la forma di un imponente pilastro.
Dietro l'angolo ci aspetta una situazione che ci sconcerta un po'.
Qual è la vasta "rampa-canale" delle rell.?
Quella che, a sx rispetto al senso di marcia, sale ripida puntando di nuovo allo spigolo?
O quella a dx, ma che sembra spostarsi troppo a dx?
Ralf, settato di default sul 7a, va a sx. E trova anche ch e una sosta.
Io lo raggiungo e, settato su difficoltà ben minori, approfitto di una provvidenziale cengia a dx della sosta e torno di là.
Ci va bene per un paio di tiri.
Passiamo anche a fianco di un posto da bivacco - evidente manufatto umano - che ci fa sperare di essere sulla linea giusta.
Poi a Ralf torna la sindrome da 7a: un diedro-camino abbastanza aggressivo, che sale verso sx, gli fa pensare che sia quella la deviazione che porta al famigerato intaglio sul filo di spigolo.
Sulla carta IV+, 35 m.
Il tiro tocca a me.
Mi pare che sia un po' più lungo di 35 m., eh?
E un po' più duro di IV+, per quanto su questa parete i IV+ mi paiano tutti belli robusti, come da tradizione "orientale".
Però, per l'ansia di riprendere la retta via [a occhio c'è ancora un'ora di sole], spero anch'io che questo sia il camino giusto e salgo.
V.
V+.
VI-.
Sosta attrezzata con maillon.
No, siamo fuori.
Faccio altri 5 m. a dx, vedo che si può proseguire, ma torno indietro: ho pochi pezzi per proteggermi e per fare sosta più sopra, se non trovo ch.
Recupero Ralf.
Lui fa il tiro, prende la roba e riparte.
A dx, diedro, VI, quindi, per cengia a dx... di nuovo nel rampone. E dove, se no?
Sosta in un punto nel quale quello sembra esaurirsi. A dx, forse, un minimo spiazzo da bivacco.
Sopra, a sx, un diedro camino sale verso qualcosa che ha la vaga aria di essere una forcella sul filo di spigolo.
Forse questa è la volta buona.
Riparto verso l'alto.
IV+ solido.
Sotto l'intaglio - che in effetti c'è - non c'è però spazio per bivaccare.
Attrezzo sosta su 2 fr. e recupero Ralf che riparte e subito trova 1 ch e 1 fr incastrato, che io non ho visto.
Sì, forse siamo in via.
Poi il tèutone sale ancora sfruttando le due pareti dell'intaglio.
2 ch, sosta, saltata.
Più sopra, fuori dall'intaglio, lo spigolo spiana.
Tiro di 55 m.
Ralf mi recupera. È in un tratto poco inclinato, ma con terrazzini esili.
"Vai a vedere se più in alto c'è un posto migliore", mi fa.
Dopo 30 m., in una zona a cengette, individuo un punto dove, in qualche modo, si potrebbe anche stare sdraiati.
Recupero il socio.
Fissiamo - a fr - gli ancoraggi per tirare le corde e ci sistemiamo.
Mentre il sole annega in un oceano di fuoco e ci lascia in un buio sereno, mangiamo qualcosa.
Il cell prende.
Ralf mi suggerisce di mandare un sms a Dario, che è coll'Ugolini in val Badia per l'uscita di fine corso.
"Saluti dall'Agner. Qui i grilli non cantano: siamo troppo in alto", gli scrivo.
Il riferimento è a un analogo sms che lui mi aveva mandato dalla IV Pala, un po' di tempo fa, durante un suo tentativo con Walter a una delle "Casarotto".
Il suo SMS, all'epoca, diceva: "Cantano ancora i grilli sulle Pale..."
Questa volta tocca a lui rispondere: "Maledetti! Dove siete?"
Ah, la tecnologia...
Ridiamo.
Dài, è ora di dormire.
5. C'è VI e VI
Come da rel., in partenza sul tiro chiave si gira l'angolo dietro la sosta e si sale.
È un VI- difficile, decisamente orientale, quasi "Marmolada".
Carlo, guida alpina di Frassenè che incontreremo in vetta, dopo averci dato acqua e cibo, indirizzati a valle e accompagnati all'auto [facendoci risparmiare 17 km di scarpinata], ci dirà che sulla Gilberti non c'è VI, che c'è il trucco.
"Giri dietro, diedrino, dulfer, IV+".
Eppure, Carlo, il tiro che inizia nel punto di cui al video qui sotto [quel "Sandro" non sono io, eh?],
se è il diedrino di IV+ che intendi, beh... dalle mie parti è un bel VI+.
O sarà che voi agordini, oltre che ospitali con i "foresti", c'avete anche bielle fotoniche al posto delle braccia?
Oppure è la magica aria di San Lucano, che fa diventare II i IV, IV i VI e V i VII?
O pippe gli ospiti, come giusta vendetta per aver profanato un mondo sacro?
Scherzo, eh?
Grazie infinite per la gentilezza e la disponibilità.
6. Sulla misteriosa e ingiusta sorte occorsa a Celso Gilberti, "l'arrampicatore più grande del mondo"
Le scarne biografie presenti in rete [www.angeloelli.it - www.quartogrado.com] riportano che Celso, nato e allevato - da buon carnico - a polenta e frico, si trasferì poi a Occidente, tra Milano e Rovereto, aprendo in 3 anni ben 46 vie di alta difficoltà prima di sparire in Paganella alla giovanissima età di 23 anni.
Lui e Oscar Soravito aprirono lo scrigno dello spigolo nord dell'Agner in una sola giornata, trovando "il passo segreto che il monte ferisce" là dove molti avevano fallito.
La leggenda narra che i due tornarono a valle "in tempo per riprendere la corriera".
Un fuoriclasse, veloce e bravo, in assoluto anticipo sui tempi. E con una potente ed elegante visione intuitiva della linea di salita.
Chissà a quale karma ha obbedito la sua breve, sfolgorante vita?
A quali colpe di altri doveva rimediare, con la sua precoce morte?
Salito in alto così rapidamente, riportato brutalmente giù dalle forze del destino.
Quelle che non vanno troppo per il sottile, quando devono ripianare.
Anche se si tratta di debiti altrui.
PS - Sì, ma...
Uikipedia...
Una definizione un po' più agile, no, eh?
NB - "Excelsus", da "ex caelo", dal cielo, con tutte le ambiguità semantiche del caso.
***
Soundtrack - Il funerale
Angelo Branduardi - Alla Fiera dell'Est [1996]
***
Attenzione alla gradazione. Nel mio particolare sistema di classificazione, si tratta di gradi "Marmolada" [aggiungere circa 1 ordinale al grado riportato più sopra].
Diverse le rell. in rete.
Alla rel. riportata più sopra [sassbaloss], aggiungo l'ottima rel. ilclaut, che non dettaglia lo sviluppo tiro per tiro, ma dà parecchie indicazioni utili, sia in chiave tattica che in chiave logistica.
Impreciso lo schizzo riportato su www.ramellasergio.it.
Bella e completa la photogallery riportata su dpmmontagna.
Queste le mie personali integrazioni e modifiche alle indicazioni presenti nelle rell. di cui sopra.
Materiale - Noi abbiamo portato solo nut e fr; niente ch; un martello e una dotazione minima di ferri potrebbero comunque risultare utili. Calzature - In effetti, come suggeriscono i clautani, fino allo spallone con mughi possono essere sufficienti anche solo le scarpe da ginnastica; noi così abbiamo fatto: però devo dire che il quid di precisione in più garantito da scarpette più tecniche non guasta, anche arrampicando su erbe e mughi. Conserva lunga o slegati - Secondo la mia personale opinione, non condivisa da Ralf, utile non la conserva lunga [per me brigosa tra i mughi e poco sicura su roccia], ma la progressione slegati dalla fine di L9 all'inizio di L10 [rel. Sassbaloss] e, con qualche cautela, dalla fine di L18 all'inizio di L19; pericoloso, come invece suggerito su forum.planetmountain, procedere slegati sui primi tiri: se roccia ed erba sono stonfe, o se parte un pilastrino, si viene giù come niente. Bivacchi - Superata la stupenda cengia collocata a metà parete, i migliori posti da bivacco sono dalle parti di L26 [rel. sassbaloss]; c'è un bel terrazzino anche poco sotto il salto finale, su L28; ah, a questo proposito, niente ch sul tiro, come invece dichiarato dai baloss.
Integrazioni alla relazione
Tiro chiave - Un bell'enigma: richiede forza e tecnica; anche Ralf, che è salito d'incastro da secondo, ha avuto il suo bel daffare; Carlo, guida di Frassenè, ci diceva che c'è un'alternativa più semplice; ma noi, in tutta onestà, non ne abbiamo viste;
L33 [sassbaloss] - È di circa 60 m; sosta su 2 ch universali vicini, di cui 1 arancione, alla base di una fessura a tratti strapiombante su roccia gialla.
L34 [sassbaloss] - Anziché salire per fessura gialla a tratti strapiombanti, si può più semplicemente seguire una lama 5 m. a dx rispetto alla sosta [info Carlo - linea da noi seguita];
L35 [sassbaloss] - Se si prosegue diritti sopra la sosta, singolo secco di V+ [gradi "Marmolada" - linea da noi seguita]; la via originale segue i ch sulla sx [info Carlo]; sosta dopo 40 m. ca; da qui si può anche procedere slegati, con una certa cautela, proseguendo sul filo di spigolo per una trentina di m, obliquando a sx in ampio canale e salendo la parete articolata alla sua sx, prima ripida, poi appoggiata [ca 150 m.; occhio ai sassi smossi; in alternativa si può procedere legati fino a quando quest'ultima spiana; noi, stanchi, abbiamo fatto così].
Discesa - Il tratto di sentiero nel canalone in basso è ben attrezzato; e, in fondo al canalone, la discesa su neve, morbida in questi giorni di caldo torrido, risparmia non di poco l'usura alle ginocchia; Seggiovia - È chiusa: non è più in funzione; bisogna scendere a Frassenè a piedi [1 h circa]; poco male; il sentiero, specie nell'ultima parte, è brutto; del resto i posti attraversati dalla mulattiera sono incantevoli [rel 19 giugno 2012].
In primavera avevo letto "Pale
di San
Lucano" di Ettore De Biasio.
E mi era rimasto impresso un nome: "Via degli Antichi".
Ci avevo fatto anche qualche pensierino all'inizio dell'estate.
Poi era arrivato il caldo, rendendo impossibile la salita.
E poi di nuovo il freddo, a rincarare la dose.
Quest'anno niente, pensavo.
Per questo venerdì non credevo ai miei occhi, quando le
previsioni su internet
davano per il fine settimana l'anticiclone delle Azzorre su tutta
Europa con un indebolimento dell'alta pressione che avrebbe
portato sulle Alpi nuvolosità ma non precipitazioni.
Condizioni ideali per la Seconda Pala.
Dario Sandrini era già pronto a partire.
Bastava solo l'ok meteo.
E così siamo andati, "... all'inferno e ritorno".
Un labirintico inferno di rocce, prati verticali e boschi sospesi,
abitato da grilli, ragni
crociati, camosci, corvi, gracchi, aquile e altri esseri misteriosi che
sembrano andare vagabondando per le pareti marcando con le loro orme
ogni toppa erbosa.
Che siano gli Antichi, non più disturbati dalla presenza
umana e
ora liberi di vagare in ogni anfratto del loro inquietante regno
immersi nell'assordante silenzio del vuoto?
Una relazione insolita, questa. Quasi
esistenziale. Ho
perso un po' la tramontana salendo. E i riferimenti sono diventati
imprecisi, rapsodici.
Poco male. La relazione di De Biasio sulla sua guida è
accurata.
Solo si presti attenzione ai gradi (orientali DOC - quando si legge
"IV+", almeno in relazione a questa via, è il caso di
iniziare a
preoccuparsi) e alle lunghezze di
alcuni tiri, secondo la nostra esperienza sottostimate.
Attacco - Già, dove attacca la via? Sul fondo secco del
Boral,
che noi nemmeno siamo in grado di trovare e nel quale incappiamo dopo
aver girovagato un po' per il contorto bosco alla sua sx idrografica.
Comunque...
Primo tratto, slegati, su rampa erbosa.
A dire la verità, imbocchiamo il camino che la delimita a
dx.
Bastano i
primi dieci metri per capire che stiamo entrando in... qualcosa di
diverso. Appena possibile usciamo dal camino a sx per iniziare una
danza tarantolata tra toppe erbose, arbusti e alberelli, cercando di
sviluppare nel più breve tempo possibile la
sensibilità
necessaria a capire se quel ciuffo d'erba, verde e tenero, ritorto,
terrà. O se terrà l'altro, dagli steli sottili e
ingialliti. Gli arbusti, poi, vanno tirati nella direzione giusta. E le
rocce affioranti scosse con cautela prima di affidarvici il peso.
Intanto nell'aria c'è l'odore di un'erba strana, che sa di
limone. E forte è anche il profumo di fieno maturo.
E di pino
mugo.
I grilli continuano a cantare,
incuranti dell'adrenalina che scorre a fiumi nelle nostre vene e ci
sbarra gli occhi.
Risolviamo un primo vicolo cieco traversando a dx grazie a una vaga
pista
di toppe che ci riporta sul fondo del diedro a dx. Ma ci
troviamo
rinchiusi in un altro vicolo cieco. Siamo costretti a tirare fuori la
corda per superare un corto
diedrino strapiombante, IV+, per me con due zaini (sono il secondo)
anche V+.
Poi a sx per bosco, fino al margine dx del grande colatoio bianco che
scende dal catino della parete sud.
Dario fa una lunghezza in scarpe da ginnastica. Tre protezioni in circa
50 metri. Dopo che sono partito, mi fa: "Forse è meglio se
metti
le scarpette". Me ne rendo conto subito e serbo la lezione per il tiro
dopo.
Con le scarpette, un altro bel V (che altrove sarebbe anche VI-). Sudo
freddo in più occasioni, pianto 2 chiodi e faccio sosta, 50
metri dopo, a un
gruppo di ginepri a destra. Che si dovesse stare più a
destra,
nel
bosco sospeso oltre i miei ginepri?
Siamo in ritardo. Secondo la relazione dovremmo essere al cengione
sotto la parete Sud-Ovest in cinque ore. Ma ne sono passate tre e
a mla pena abbiamo fatto trecento metri.
Dario va a destra per mughi e poi rientra nel canale più in
alto, dove la pendenza si attenua.
Un altro tiro facile e siamo nel catino alla fine della prima parte
della Gogna.
Adesso dovremmo, dice la chiara relazione, scendere per cenge. Ma noi,
slegatici,
nella fretta seguiamo la linea che ci sembra più logica e
saliamo. Una prima rampa e una seconda.
Poi è Dario a dire: "Guarda che dovremmo scendere".
Una doppia.
Altra rampa ascendente a sinistra. La seguiamo fino in cima, scendiamo
il pendio che vi si nasconde dietro e siamo ancora bloccati. Pulpiti
boscosi che danno sul vuoto.
"Scendiamo ancora", fa Dario, "a quella cengia laggiù".
Una doppia da 30 non basta.
Se ci caliamo ancora, sarà molto difficile tornare indietro.
Almeno da
dove siamo venuti.
Lascio un mio cordino arancione in una clessidra e mi calo di altri 20
metri. Dario mi raggiunge.
Proseguiamo un altro po' per il boschetto sospeso finché non
arriviamo al suo termine, un nido d'aquila che dà sul vuoto.
O,
meglio, che dà su un anfiteatro nel mezzo del quale scende
un
grande colatoio. Che sia il colatoio della relazione (quattro tiri di
IV con
passi di V/V+)? Una decina di m a dx e in alto, sul fondo del gran
diedro che delimita in quella direzione l'anfiteatro, si intuisce una
rampa vegetata.
Sono le 18,30. Tardi.
Ragionamento ad alta voce di Dario: "O saliamo di lì", e
indica
il colatoio. "Sembra articolato. O saliamo di lì", e indica
la
rampa. "Arriviamo a un boun posto da bivacco, dormiamo e domani mattina
decidiamo se continuare o scendere": abbiamo dato fondo a
più di
metà delle nostre scorte d'acqua.
Ragionamento tra me e me del sottoscritto: "Di qui non scendiamo
proprio. Mi sa tanto che l'unica via d'uscita è in alto...".
Scegliamo la rampa erbosa: 100 m. circa di arrampicata delicata, con
una strettoia impegnativa che, in scarpe da trekking, ci fa tribolare
(IV+).
La rampa dà su un catino alla base di un canale-camino.
Sulla
sua sx una placca di roccia articolata. E sulla dx, in una nicchia, la
stella alpina più grossa che abbia mai visto.
E' ora di ritirare fuori corda e scarpette.
Faccio io un primo tiro: fessura per entrare nella placca articolata.
Poi
punto a una macchia di mughi per proteggermi (l'ultimo friend
è
una ventina di metri più in basso). Ma i mughi, quelli
buoni,
sono a sx, irraggiungibili: un canalino di erba verticale e terra mi
sbarra l'accesso alla loro base. Non mi resta che accontentarmi di un
mugo cresciuto non so come in un buco di 4-5 cm. di diametro sul
margine sx di uno strapiombino. Mi ci assicuro in qualche modo e salgo
lo strapiombino mormorando giaculatorie (V/V+). Poi a dx nel canale,
ora appoggiato,
ne supero un tratto verticale inerbato scavandomi le prese nelle zolle
e, appena possibile, piego a sx, fuori dal canale. Sosta su mughi, dopo
60 m.
Dario mi raggiunge. E' stato davanti per quasi tutta la salita ed
è stanco. Mi chiede di fare anche il breve tiro che
sembrerebbe
portarci a una cengia con mughi, posto da bivacco molto migliore della
stretta striscia di terra su cui ci troviamo ora. Il buio sta avanzando.
Salgo un canalino a dx della sosta tarzanando una fascia di mughi che
scende alla sua dx e arrivo sotto una nicchia il cui margine superiore,
strapiombante, è coperto di mughi. Diritti non si sale.
Sfratto
due ragni crociati che hanno fatto casa davanti alla nicchia, mi
proteggo in qualche modo con mughi e un friend e supero l'ultimo
ostacolo a sx (strapiombino con comodini in bilico - V/V+) salendo nel
soprastante canale erboso. Dopo 20 m., sopra una macchia di mughi, una
nicchia in lieve pendenza potrebbe consentire un bivacco.
Recupero Dario che è quasi scuro.
Risistemiamo la nicchia per renderla più accogliente,
mangiamo
qualcosa e ci infiliamo nei sacchi a pelo.
In alto il cielo è splendido.
E intanto i grilli cantano, sedando le nostre inquietudini.
Di notte sogno di essere in giro. Con amici sono impegnato in una lunga
camminata. Un bambino ci indica dove trovare acqua in un posto in cui
sembrerebbe non essercene.
Alle 6.00 mi sveglio di botto.
Non ho sentito la sveglia. Neanche Dario.
In breve siamo pronti a ripartire. A sx non si prosegue: muri compatti.
In alto idem, ma con fessure erbose. A dx un sistema di cenge sembra
portare ai piani superiori e in particolare al cengione obliquo sotto
la parete Sud-Ovest. E' ancora Dario ad avere l'intuizione giusta. Dopo
60 metri di camminata siamo alla base di un vago pilastro a sx di un
colatoio.
Parte Dario, questa mattina.
50 metri di tiro, difficile da proteggere. Prima diritti, poi in
obliquo a dx, oltrepassando una rigola erbosa e poi ancora diritti per
fessure (V+ nel complesso). Dario fa sosta a una nicchia, con chiodo
(!), molto vecchio, artigianale (!!!). Anch'io trovo il mio chiodo,
fratello del precedente, 10 metri sopra la sosta, a proteggere uno
strapiombino (V). A salita conclusa Dario dirà di aver visto
chiodi simili sul diedro Casarotto.
Tentativo del vicentino alla parete Sud-Ovest non andato a buon fine?
Miotto? I cencenighesi? Gli agordini?
Di sicuro questa non è la linea giusta degli Antichi. Stiamo
arrivando alla grande cengia troppo da dx.
Sosta su mughi dopo i soliti 50 m e dopo il solito tratto di canale
verticale inerbato. Dario arriva alla cengia con altri 35 metri di
arrampicata facile. Poi io salgo fino alla base della grande parete
superando 25 m di mughi: sotto la roccia dovrebbe essere più
facile camminare. Sopra di noi fantastiche fessure su un muro giallo
impressionante.
Traversiamo a sx per 200 metri circa, in conserva lunga, fino a una
conifera sotto l'unico punto debole della parete: una fessura-camino
erbosa.
Tocca di nuovo a me. 40 metri di tiro in camino con un IV+ che
raccomando, al solito da interpretare, difficile da proteggere, erboso
e abitato da schiere di ragni crociati. Sosta su spuntone e ginepro.
Poi a Dario, sempre nel camino, passando poi a un suo ramo
più a
dx. Sosta 40 metri dopo. Non troviamo traccia del chiodo segnalato
nella rel. De Biasio.
Il tiro successivo dice "fine del camino, fessure oltre la linea di
strapiombi a dx e, quando possibile, 7 metri in obliquo a dx fino a un
esposto terrazzino, 40 metri, IV+. E' proprio così. Attrezzo
sosta con 1 ch, 1 friend e un nut.
Dario vorrebbe poi andare a dx. In effetti si va a dx per 2-3 metri
fino a uno spuntone, dal quale si torna a sx fino a una cengia con
mughi. Al suo lato sx una fessura permette di salire ancora qualche m
fino a un terrazzino più alto, a sx. Dario attrezza sosta
con 2
ch (45 metri?, non ricordo).
Lo raggiungo. In alto a sx la nicchia ben visibile in una bella foto a
due pagine della guida di De Biasio. Solo che i mughi, in 25 anni, sono
diventati grandi e frondosi.
Parto. Dopo 2/3 metri trovo un chiodo ballerino. Dentro dev'essere
piegato: non esce né si riesce a ribattere. Un reperto della
solitaria invernale di Ferrari?
Salgo ai mughi, ci lotto un po' tenendomi alla loro sx ed esco a dx per
rampa obliqua con ingresso delicato su toppe d'erba (scavarsi gli
appigli, V-, 25 metri scarsi). Alla base di un compatto diedrino, come
da relazione, la sosta: un bel chiodo a lama fa la sua bella figura
lì, in mezzo al niente.
Dario vorrebbe salire il diedrino. Io lo invito a leggere meglio la
relazione: c'è un altro diedro più a dx, le cui
potenziali difficoltà sembrano più coerenti col
V- della
relazione. E così parte: traversino a dx e diedrino con
uscita
erbosa delicata e difficile, più difficile della mia sul
tiro
precedente, almeno V+. Dopo 25 metri scarsi su rampa obliqua un ch di
sosta. Dario si ferma.
A me tocca il traversone a dx. Laggiù si vedono i mughi a
cui
dovrei arrivare. Ci sono due possibilità: linea di cengia
superiore e linea di cengia inferiore.
Dario mi suggerisce di stare alto. Io punto alla cengia sopra e, poco
prima di arrivarvi, trovo un ch in fessura. Che il buon Alison abbia
trovato ghiaccio, qui? Quindi inizio a traversare. A circa
metà
tiro, per evitare troppi saliscendi, supero 6-7 metri di placca
compatta ma facile, arrivo a una oblunga nicchia erbosa con strana
vegetazione all'interno e la solita schiera di ragni crociati in
agguato all'esterno (un piccolo mondo alieno), continuo a traversare su
toppe erbose ("Ma chi diavolo passa di qui? Camosci, uomini, che
cos'altro?", mi viene da pensare. Quasi tutte le toppe usate
durante la salita sembrano segnate dal passaggio... O forse
è
l'acqua?) e arrivo fino alla macchia dei mughi. Sosta. 55 metri, IV.
Dario, come da relazione, va a destra, fino a una grande nicchia,
ottimo posto da bivacco, ne esce a destra e rientra a sinistra per
placca con pochi movimenti di IV molto sostenuto (facciamo V-). Poi
attrezza sosta su chiodi dopo 50 metri e mi recupera.
Ancora a me il traversone, questa volta a sx, fino alla base del camino
che scende dal Campanile dei Camosci. Al momento di piazzare la seconda
protezione, mi fischia a valle il Camalot viola piccolo di Dario. 50
euro andati...
A un certo punto la cengia si sdoppia.
Alti o bassi?
La relazione dice "alla base". E io vado alla base, basso. Non trovo il
chiodo promesso dalla relazione. Forse è più
sopra. Salgo
di 4 metri fino a un punto che potrebbe ospitare la sosta (e che
corrisponde alla posizione da cui sembra scattata la foto sul tiro
chiave della guida). Ma, in affanno per la qualità della
roccia,
tra le erbe che intasano la fessura non trovo niente. Allora vado a dx,
per esile cengia che da dx arriva, seguendo il ramo alto della cengia
che prima ho abbandonato. Niente neanche lì. Torno a sx nel
camino. Niente. Mi rassegno. Vado a dx, attrezzo una brutta sosta su
spuntone, cattivo friend in fessura svasata e nut discreto e recupero
Dario. Dopo le prime bracciate, alla mia dx, in una comoda e grande
nicchia gialla, vedo un chiodo.
Il sole mi sta friggendo il cervello...
Dario arriva in sosta e, dopo un tentativo poco convinto, sapendo di
essere sul chiave, torna indietro, attrezza sosta alla nicchia (per
eventuali ripetitori, è a circa 45 metri dalla sosta prima
dell'obliquo, lungo il ramo alto delle cenge che arrivano da dx), mi
recupera e riparte.
Pianta un chiodo per lasciare lo zaino prima di impegnarsi nel tratto
difficile e, tra le erbe, dove io non avevo visto niente, trova il
chiodo promesso dalla relazione.
Rinfrancato, parte.
Solo un po' di affanno per salire, in libera, il muro appena
strapiombante tagliato da fessura alla sua dx (VII-? - 30 metri). Poi
arriva in una nicchia e fa sosta, così può
recuperare il
suo zaino.
Anche a me, nonostante lo zaino sulla schiena, il tratto riesce in
libera. Più difficile il ristabilimento su terrazzino erboso
che
la fessura strapiombante nei pressi del chiodo.
E adesso tocca a me. Per guadagnarmi la salita, devo superare una
rivoltante fessura strapiombante e inclinata a sx che promette ben
più del V+ anticipato dalla relazione. Lascio lo zaino a
Dario e
parto. Un friend alla base, poi incastro di spalla destra (in
canottiera e con
le spalle ustionate dal sole) e altro friend (5 Ande) all'inizio del
tratto ostico. Dario mi suggerisce di stare esterno, in spaccata.
Riesco a mettermi in posizione. Poi afferro una prima presa a sx,
buona, mi alzo, chiudo una seconda presa a sx, vado per alzare il piede
destro e... strack. La presa mi si disintegra tra le dita. Volo,
morbido, in strapiombo.
Il friend ha tenuto.
"Tutto bene", fa Dario.
"Sì, sì...".
Riparto. Il friend ha 2 camme girate, ma sembra ancora in grado di fare
il suo dovere. Alzo il friend sotto. Non si sa mai.
E ne aggiungo un altro. Non si sa mai.
Poi parto.
Incastro di spalla destra, spinta di piede sinistro e incastro di
spalla destra. La
tecnica strisciante sembra funzionare (V+ più VI abbondante
che
V+).
Un buco liberatorio mi permette di alzarmi nell'ampia e oscura nicchia
soprastante. Dario vorrebbe che mi fermassi a recuperare il mio zaino.
Ma non riesco a trovare un punto per proteggermi. Allora salgo ancora,
fino alla base di una fessura sotto un tetto nero che sembra
chiudere il camino.
Attrezzo sosta su clessidra, nut e friend (25 metri) e recupero Dario
(che, con il suo zaino in spalla sale la fessura con arrampicata
esterna!) e il mio zaino. Mentre lo faccio, tra un sospetto e l'altro
sulla tenuta della sosta, mi viene da pensare a come dev'essere l'antro
d'inverno. E a come dev'essere salirlo da soli.
Dario parte e, con intuito, sta esterno. Gli scatto due foto d'altri
tempi - saranno venute? Poi supera un'ultima strettoia (V). La corda
scorre più rapida, ora. Sosta dopo 35 m.
Io, qualche problemino a risolvere con eleganza la strettoia, ce l'ho.
Il volo mi ha provato.
Quindi 40 metri di facile camino per me (1 p IV e poi II/III). Sosta su
masso incastrato.
E 50 di camino appena più impegnativo (IV) per Dario. Sosta
su
mugo millenario sulla forcella in vetta al Campanile.
Io attraverso la forcella ricoperta di mughi e salgo canalini e muretti
prima diritto e poi a dx, fino a una cengia con mughi. Sosta (35 m -
III+).
Poi Dario, per placca (ottimi buchi e clessidre) in lieve obliquo a sx
sopra il punto di fermata. Supera una fascia di mughi e fa sosta a una
cengia più in alto e a sx (40 metri - IV).
A me l'ultimo tiro.
Io andrei diritto sopra la sosta, aggirando un dorso e prendendo la
rampa retrostante, sotto uno strapiombino. Ma Dario mi vuole mandare a
sx, per placca verticale a buchi. Vado a sx, ma sto più a sx
di
quanto vorrebbe Dario. Dietro, oltre uno spigolo arrampicabile, un
caminone. Sono stufo di camini. Prendo lo spigolo (III max, clessidre)
fino a una cengia con mughi e, oltre, più a dx, un
clessidrone. Ancora più a dx un
canale erboso. Forse è finita. Faccio sosta al clessidrone
(30
m) e recupero Dario.
Dario entra nel canale, sale a una spalletta con mughi e mi fa salire.
Ci sleghiamo.
Un stretto e facile canale di 50 m tra i pinnacoli ci porta a un dorso
erboso sotto un anfiteatro che sembrerebbe chiuso. In realtà
una
cengia a dx conduce a un altro anfiteatro superiore.
Per la cengia e per vago dorso al suo termine raggiungiamo la macchia
di mughi terminali e usciamo in cresta.
In fuga dal buio scendiamo all'acqua, a Malga Ambrosogn (alla malga non
se ne trova; bisogna scendere per qualche centinaio di metri - lineari
- lungo il sentiero per Cencenighe; oltre il guado del ruscello
c'è una fonte di ottima acqua pulita; l'acqua del ruscello
è... hem, lassativa).
Ci abbassiamo di altri 300 metri di dislivello e bivacchiamo in un
prato umido.
All'alba scendiamo a valle, scrocchiamo un passaggio all'autobus di
linea grazie alla gentilezza del conducente e alle 9.30 siamo all'auto.
Lavatici e prima di partire, troviamo sul tergicristallo un biglietto
zuppo d'acqua. E' di Ettore De Biasio, che ci fa i complimenti e ci
chiede di chiamarlo per informarlo sulla salita.
Lo avevamo incontrato ancora sabato, proprio al parcheggio, ma, nella
foga di partire, non lo avevamo riconosciuto.
Anche domenica era venuto a controllare che non ci fossero problemi.
Ci ha fatto da discreto angelo
custode per tutta la salita.
Che lusso...
E che salita...
(rel. 5 settembre 2006)
Laggiù, in fondo al boràl,
dove cielo
e inferno si incontrano.
Laggiù, in fondo al boràl,
dove gli Antichi mormorano
Mi scuso per il tardivo aggiornamento.
Ero rimasto indietro col lavoro.
E avevo problemi compositivi.
Li ho risolti così: relazione lirica, lunga come la via.
E, se non capite, pasiensa.
Domenica 12.
Ore 8.30.
Ultimo caffé al bar Centrale di Agordo. Poi alla base dello spigolone della Terza Pala.
Guardato prima dell'attacco, dà sempre una vaga sensazione di nausea, quasi ad anticipare la fatica che seguirà.
Attacchiamo il pendio non dal bosco alla sx idrografica del canale, ma da quello alla sua dx, pulito per recenti lavori di taglio.
Arriviamo rapidi alla prima fissa, allungata con tratti viola, e su diritti per canali fino al Col di San Lugan.
La giornata, come da previsione, è calda.
Qualche problema solo per arrivare alla cengia obliqua che riporta sul fondo del boràl a causa dei mughi: quest'anno sono cresciuti vigorosi per le abbondanti piogge e hanno chiuso alcuni varchi che in primavera avevamo trovato percorribili. Fin qui 3 h.
Imboccata la cengia, puntiamo al boràl.
Due tiretti di corda nel tratto terminale, il primo su erba (30 m. - EIII), il secondo su rocce smosse (IV) [evitabile con possibile calata su cordone] fanno da ultima barriera alla realtà separata.
Siamo dentro.
Un ronzio costante, come se in giro ci fosse un grande nido di api o vespe, riempie l'aria.
Altro tiro di corda [Dario non piazza protezioni] per aggirare sulla sx un primo salto (60 m. - III+).
Poi fa: "Lassù - oltre un altro salto a gradini non proprio sani - c'è il diedro di IV. Riavvolgiamo le corde e arrampichiamo slegati. Dobbiamo fare in fretta: siamo in ritardo".
Salgo sotto il diedro.
Provo a salire diritto, sulla verticale: smarzo.
Provo a salire a dx, per vago spigolo: smarzo. Tutti gli appigli che prendo si staccano con ampie porzioni di roccia circostante.
"Tira fuori le corde, va là...".
Dario entra nel diedro da dx e poi lo sale fino al suo termine, uscendone ancora sulla dx per ripiani a balze. IV creativo (facciamo V - 60 m.).
Passo davanti.
70 m. su risalti friabilotti sulla dx orografica del boràl rientrandovi sul fondo non appena possibile, in uno ristretto spiazzo ghiaioso. Ho la gola già arsa. E sento acqua gorgogliare, appena più sopra, irraggiungibile.
Fin qui 6 h. Siamo proprio in ritardo.
Comunque la via attacca da qui.
Io, da stupido, ho salito lo zoccolo con i pantaloncini, giusto per offrire il mio corpo in sacrificio alle zecche.
E, nonostante qui ne abbia la possibilità, ancora sudato, non indosso i pantaloni lunghi, perché non sento la fresca aria di fessura che scende dal canale.
Scelta molto sbagliata.
Rampa inclinata a sx per Dario (35 m. - III).
La prima sezione su costole oblique sotto strapiombi neri tocca a me: cengia, muretto verticale a gradoni appena verso sx, a dx per costole, aggiro a dx un primo tratto verticale a blocchi sospesi e rientro a sx all'unico terrazzino comodo in quel mondo di costole oblique (45 m. di sviluppo, 30 m. di corda fuori - V-). Lascio un ch universale di sosta.
Ancora obliquo a dx su costole per Dario: gli ci vogliono 10' per superare un primo tratto ostico [quello della foto sulla guida di De Biasio, nel quale, se ricordo bene, Massarotto avanza in un cupo ambiente temporalesco]. Oggi le condizioni sono molto più favorevoli: il cielo è limpido e la giornata luminosa. Ma Dario non riesce a trovare una sequenza di movimenti da IV che gli consenta di superare lo strano passaggio. Ha gli scarponi, vero... Però...
Alla fine passa con i piedi sulla costola e le braccia a stringere un rigonfiamento liscio del muro soprastante, io quasi strisciando sotto la gobba e a cavallo della costola con delicati movimenti di aderenza per mani e piedi. Bel IV, non c'è che dire... (45 m. - V+).
Ancora in obliquo a dx per costole e cengette. Dovrei trovare un ch in un camino dopo qualche m. in discesa. Ma non trovo niente (45 m. - III+).
Dario traversa, incappa nel camino, scende, ch (30 m.).
Io in obliquo verso dx alle nicchie nere; roccia delicata, sosta su spuntone (30 m. - IV). Comincio a soffrire la fresca aria di sepoltura che scende dal boràl. Meglio che mi metta i pantaloni lunghi.
Dario aggira il bordo della nicchia a dx e poi temporeggia a lungo, là dietro.
Io, intanto, mangio e bevo qualcosa. E, con manovre equilibristiche, riesco anche a togliermi l'imbrago e a coprirmi meglio le gambe.
Ma ormai il guaio è fatto: in testa mi si sta risvegliando un dolore cupo, martellante.
Qualche avanti e indietro della corda. Dario chiama sosta e mi recupera.
Giro lo spigolo. Muro a buchi di VI, protetto da un ch a U che tolgo con le dita. Poi lama obliqua a dx e sosta su una cl (30 m. - VI).
De Biasio: "III-IV".
Mi immagino quei due, sotto i temporali, salire una via così.
Il boràl che ruggisce carico di acque rabbiose.
Il cielo cupo e cattivo.
Questo non è alpinismo.
E'... arte?
Un'opera d'arte la cui creazione richiede che il primordiale sia uno con la dissoluzione di ogni mito, l'amarezza con la furia, la volontà di vita e il coraggio di sognare al di là di ogni disillusione.
"Via della Solitudine... Che storia ci sarà dietro? 'Solitudine? solo perché qui siamo in un posto nemmeno da lupi?", me lo chiedo più volte, mentre aspetto in sosta che Dario finisca il tiro o mi raggiunga dove sono arrivato.
Continuo in obliquo e in traverso a dx fino al colatoio di rocce bianche che scende dal canale tra Torre e Spiz.
60, 70 m. e non trovo un punto per fermarmi. Solo fessure muschiose, che non accolgono chiodi. Alla fine accetto il compromesso di 2 ch così così e recupero Dario (70 m. - III/IV). Avrei fatto meglio a salire di un'altra decina di m., entrando nel fondo del canale, e recuperare Dario da lì.
Lo farà lui (35 m. - II).
Poi circa 40 m. di conserva breve.
Io sarei per fermarci lì a passare la notte: nel canale ci sono diversi spiazzi; e ormai sono le 18.00, poco più di 50' di luce.
Ma Dario ha visto una nicchia - o spera di averla vista - più in alto. E vuole bivaccare lì.
Sarà angoscia da fondo di boràl o più probabile desiderio di alzarsi ancora qualche tiro, riducendo il numero di metri di arrampicata che ci aspetta domani?
Riparte portandosi a dx, in piena parete.
Purtroppo il terrazzo appena sopra il canale non è un terrazzo; e la nicchia che intravediamo più in alto non è una nicchia.
Quindi avanti per l'evidente fessura-canale che ci darà la direttiva di salita per i prossimi 2/3 del pilastro (45 m. - IV).
Arrivo in sosta col buio. Il mal di testa mi ottunde.
Toccherebbe a me. Ma non amo arrampicare di notte. E sono infastidito perché Dario non si è fermato a bivaccare più sotto, sul comodo.
Dario intuisce. Andrà avanti ancora lui.
Mentre parte, sorge la luna (la solita fortuna), una luna immensa, impressionante, che se ne sta lì nel mezzo della "V" che le vertiginose pareti della Seconda e della Terza Pala creano divaricandosi verso l'alto dal fondo del boràl.
Sto in sosta e faccio sicura.
Dario è più in alto, da qualche parte [ogni tanto vedo la sua frontale tagliare con lame di luce il buio].
Attorno a me sporadici, acuti strilli di pipistrelli che mi esplorano col loro sonar.
"Sosta, vieni", fa Dario.
Niente nicchie da bivacco neanche lì (45 m. - IV).
Bisogna salire ancora.
A dire la verità, l'arrampicata notturna inizia a piacermi.
In quel buio mi sento protetto.
Parte una scarica. Due blocchi mi passano vicino. Ma io mi credo al sicuro e nemmeno mi muovo: i sassi non mi colpiranno.
Illusorio potere del non vedere...
Poi Dario si inchioda.
Non sale né scende.
Ha trovato un potenziale posto da bivacco, ma ha preferito proseguire ancora un po' alla ricerca della nicchia che non c'è.
E ora è sotto un camino liscio: "Con gli scarponi non riesco a salire".
Mi recupera.
Tocca a me. Via lo zaino. Mi incastro di corpo, traziono e striscio fuori in un tratto inclinato di canale; più sopra una nicchia quasi comoda: 2 m. di profondità, strettina, ma quasi orizzontale. Ci si può dormire.
Intravedo una cengia in alto a sx. Per scrupolo salgo una difficile paretina fessurata e vado a controllare che la nicchia da bivacco non sia lì.
Non è lì.
Recupero Dario fino alla nicchia sottostante, mi calo e ci attrezziamo per il bivacco.
Io dormo [beh... dormo...] più in basso, di traverso nel canale, con i piedi puntati sul bordo di fronte e la testa incastrata in un diedrino dietro di me.
Dario su un blocco appena più alto.
Bivacco onirico, tra una punta di probabile febbre per bronchite a evoluzione fulminea, pareti illuminate dalla luce lattiginosa della luna e cielo [lo spicchio di cielo sopra di noi] tempestato di stelle.
Alba.
Colazione con thé.
Il mal di testa è passato.
Parto io: Dario, con gli scarponi, avrebbe problemi su quel tiro che De Biasio, laconico, grada "V-".
Rifaccio la paretina fessurata e torno a dx, nella continuazione del canale-camino finora salito.
Sarà anche il primo tiro della giornata...
Ma ho fatto VI più facili, in Dolomiti (25 m. - VI-).
In sosta un ch, segno di altri passaggi dopo l'apertura.
Il tiro dopo è un altro "V" che ha tutta l'aria di esserlo con licenza poetica. Meglio che resti davanti io. La rel. recita: "placca di bella roccia compatta".
Parto.
Friend in fessurino. Traverso a dx in placca, agevolato da due tacche risolutrici. Ora un muro appena strapiombante, a prese buone, ma balorde e con diversi gradini all'apparenza staccati, mi separa dall'ingresso in camino. Mi alzo a sx, per proteggermi con friend in una spaccatura [calcite ai bordi: il friend non terrebbe; ma ormai lì l'ho piazzato e lì lo lascio]; ridiscendo un m. e traverso a dx fino a una fessura migliore: un friend, un altro friend e poi nel camino; roccia slavata e lavorata, da colatoio; diverse strozzature; quando il canale muore sotto strapiombi, a dx, a una cengia con mughi; 1 ch a lama dei primi salitori, sosta (50 m. - VI).
In obliquo a sx per vago spigolo e paretine fino a un terrazzo con mughi. Portarsi sotto lo spigolo (50 m. - II/III).
Aggiro lo spigolo, su per bella placca articolata, tratto su erbe e poi ancora su rocce articolate, dall'aspetto sano, ma pericolose: più di qualche pilastrino si smuove non appena lo tocco; uno di questi si stacca e precipita verso Dario, 50 m. sotto (55 m. - V-). Sosta su spuntone.
Per rocce articolate sulla sx del filo fino alla vetta dell'anticima della Torre (40 m. - III).
Sul filo di cresta e tagliando in costa una conca erbosa sul versante sud fino a un larice di sosta (55 m. - II+).
Diritti per spigolo, puntando a un diedro di belle rocce articolate. Al suo termine a sx a un pendio ghiaioso. Ancora a sx fin sotto l'ultimo salto della parete. Sosta su friend e cl (70 m. - IV).
Per vago diedro e camino in vetta alla Torre del Boràl (40 m. - IV).
Calata attrezzata da 35 m. Sosta su spuntone. Adesso bisogna salire sulla vetta della Torre di Lagunaz.
Dario dice: "O attraversiamo a sx, nel catino ghiaioso, e risaliamo le fessure dell'altra volta. O diritti fino allo spigolo SE della Torre. La rel. dice: 'III'. Vai tu?".
Non ci sono alternative.
Devo andare io: nella migliore delle ipotesi Dario con i suoi scarponi impiegherebbe 45' a concludere il tiro, nella peggiore avrebbe i suoi bei guai anche solo a passare l'ultimo tratto di cresta, un muro verticale, che abbiamo visto bene dalla vetta dell'altra Torre [mai arrampicato sul VI slavato con gli scarponi? Provare per credere...]
Vado, col mal di testa, qualche probabile linea di febbre, stanco, disidratato, lento come un palombaro.
Ma non vado a fondo.
Salgo.
In obliquo a sx e diritto fino a uno spuntone con cordone, ancora diritto fino a lame fatiscenti, traverso a dx allo spigolo; il tratto finale sembra facile; ne salgo i primi 7-8 m. e mi trovo sotto il fatidico muretto.
Non è facile.
Ribatto un ch che trovo sul posto e aspetto l'ispirazione.
Sotto di me, tutti assieme, i 1.500 m. di boràl che ho salito.
La testa mi scoppia.
La corda mi tira giù.
Lo zaino mi tira giù.
L'abisso mi tira giù.
Entra in funzione il motoneurone tèutone: "Tu mette piede lì und afferra in dulfer fessura und prende tacca und esce dalla parete".
Eseguo.
Sono fuori.
Rampa a dx e mughi, 55 m. - V+.
"Sosta, vieni!".
L'altra volta non lo avevo notato: la vetta della Torre è al centro delle Dolomiti.
A sx le Pale di San Martino, a nord-ovest la Marmolada, a nord-est le Tofane, appena più in là la Civetta.
Tre doppie e siamo giù.
In discesa sono costretto a infrattarmi due volte per svuotare gli intestini.
La prima volta una zecca mi fa sua vittima.
La seconda volta me ne accorgo e sono io a terminare lei.
In valle di San Lucano è freddo: il torrente scende portando con sé un'umida e infida corrente d'aria gelida.
Nei boschi il ramato dei faggi, il rosso degli aceri e il giallo delle betulle è come un incendio spento dalla fuga del sole.
Scendiamo lungo la strada, valichiamo il fondo ormai innocuo del boràl e arriviamo all'auto.
Un biglietto sul tergicristallo: "Dove siete stati? Ettore".
Ciao, Ettore.
Dove siamo stati?
Piacerebbe saperlo anche a me.
Ma, forse, tu ne sai più di noi...
V - Sai, vero, che non c'è nessuna realtà separata? D - Sì. V - E che il ronzio che sentivi sul fondo del boràl erano api e non gli Antichi? D - Lo so. V - E che il mormorio che sentivi al catino d'attacco non erano aganes [ninfe delle sorgenti], ma acqua? D - Lo so. V - E che gli "zzinnn" che ti circondavano nel buio, in sosta lungo la fessura-camino, non erano spiriti dell'aria, ma pipistrelli? D - Sì. V - E allora perché l'eserga di attacco? D - Perché così a me piace.
Itinerario iniziatico.
Riservato a chi sappia quello che sta facendo.
Da evitare in periodi di tempo instabile: il primo tratto di salita si svolge sul fondo del Boràl di San Lucano [che, con piogge, credo sia molto, ma molto pericoloso].
E pensare che De Biasio racconta di una prima salita "[...] funestata da continui temporali [...]".
Facile alpinismo esplorativo, come si commentava poco tempo fa su Fuorivia [non riesco a ritrovare il topic]?
Mah...
Preferisco lasciar parlare l'intro della guida di De Biasio: ""Le Pale di San Lucano sono montagne diverse. Si entra e si esce, in un mondo totalmente a parte. [Sono pareti] '... imperiosamente superiori alle Marmolade, alle Civette, ai Burèl...'" [cit. Gogna, mi pare].
Davvero è così...
Noi abbiamo usato ch, friend fino al 2 BD e nut medi (rel. 15
ottobre 2008)
Via sconcertante (ma qualunque linea su questo impressionante bastione
penso che lo sia).
Solo per cordate molto consapevoli. Commento di Dario Sandrini dopo la
salita: "E' la via psicologicamente più impegnativa che
abbia
mai fatto". E se lo dice lui...
Avvicinamento - Integrazione alla rel. De Biasio:
pervenuti al "Col de
San Lugan" (i boscaioli salivano fin lassù per fare legna!),
dopo il tratto pianeggiante, tenersi sul vago filo di cresta,
mantenendosi però più sul fiancoche dà
verso il "Boral di San Lucano" e
proseguendo sul dorso del pilastro che, seppure alberato, si fa via via
più ripido. Si lascia sulla dx una prima cengia erbosa il
cui
imbocco è caratterizzato da una zona di alberi abbattuti e
si
sale un'ulteriore verticalizzazione dello zoccolo. Oltre questa, poco
sotto la ripida zona a mughi che porta all'attacco dello "Spigolo
Tissi-Andrich", in corrispondenza di un'altra zona con alberi
abbattuti, si incontra una seconda cengia che punta al fondo del Boral.
La si imbocca e dopo circa una cinquantina di m. si nota un doppio
diedro scuro alto 25 m. e sormontato da strapiombi.
L1 - Salire il ramo di dx del diedro e, quando questo si esaurisce
sotto uno strapiombino, rientrare a sx e salire la faccia dx articolata
del diedro. Al suo termine a dx per cengia. Sosta su mugo dopo 15 m.
(o, forse meglio, qualche m. prima su mugo e pilastrino) (40 m. - V).
L2 - In traverso a dx su placca tecnica con finale strapiombante.
Uscire in una zona a mughi e proseguire diritti con faticosa
arrampicata (50 m. - V). Forse la via originale piega in obliquo a dx
nella zona a mughi.
L3 - Diritti per corridoio di roccia tra mughi ma con numerose e
faticose tarzanate sui rami delle conifere da parete (in alcuni tratti
strapiombanti!). Appena possibile obliquare a dx per rampa di mughi
sotto una placca compatta (55 m. - V/V+).
L4 - Si percorre la rampa fino al suo termine, si supera la
placca sul suo margine dx e si
obiqua a dx puntando a un larice secco dal quale si traversa -
anche in
discesa - a una cengia (discreto posto da bivacco) (35 m. - V). L2, L3
e L4 sono i tiri più duri e faticosi della via!
L5 - Dal margine dx della cengia si scende a dx fino a imboccare un
gran diedro bianco visibile anche dal basso. Io sono salito
sulla sua faccia dx,
entrando sul fondo solo a circa 2/3 per uscirne dopo qualche m.. Dopo
circa una lunghezza di corda il diedro spiana.
Ch rosso di sosta lasciato dai primi salitori (io ho fatto sosta
più a dx) (55 m. - V/V+).
L6 - Si percorre la rampa inclinata a dx in cui si esaurisce il diedro
(in un ultimo tratto su erba) (40 m. - IV-).
L7 - Per facili rocce si aggira a dx un breve tratto strapiombante e si
torna a sx, a prendere un diedrino inclinato a dx che porta a una
cengia, qualche m. a dx di un diedro di roccia bianca (25 m. - IV).
Sosta non facile da attrezzare.
L8 - Si sale il diedro bianco fino al suo termine. Un solo passo strano
(40 m. - V/V+).
L9 - Ancora per diedro (stando a dx nel primo tratto) fino alla cima di
un pilastro (30 m. - V-). Sosta da attrezzare a ch (o a un mugo
macilento sotto la continuazione della via).
L10 - A sx della sosta per fessura fino in cima a un pilastrino (ch a
lama rosso dei primi salitori poco sopra il vertice), poi in obliquo e
in
traverso a sx per bella placca ben proteggibile con un solo pass.
delicato (45 m. - V+).
L11 - Si sale la lama staccata sopra la sosta (VI- se interni; VI+ se
esterni, come ho fatto io, ingombrato dallo zaino), si obliqua a sx per
rampa e successiva fessura, si traversa a dx puntando a un'evidente
nicchia, ne se esce a dx e per vasta rampa inclinata da dx a
sx si sale al
vertice sx dei grandi strapiombi soprastanti. Sosta su clessidra (da
qualche parte dovrebbe esserci anche un ch dei primi salitori) (55 m. -
VI- o
VI+).
L12 - A sx fino al termine della rampa, ancora in traverso a sx per
cornice e poi
diritti puntando a un varco tra i mughi. Sosta sotto una fascia
strapiombante (35 m. - IV-).
L13 - A questo punto probabilmente ho sbagliato. Forse i primi salitori
hanno superato la fascia di strapiombi più a dx.
Comunque... A sx su
cengia fino a un punto debole della fascia strapiombante posto a circa
10 m a sx rispetto alla nostra sosta. Supero lo strapiombo e salgo la
successiva, bella placca a buchi assecondando l'andamento a
"S" di una sorta di concavità nella placca e passando sotto
uno
strapiombo inclinato da sx a dx. Ne esco a dx, salgo in lieve obliquo a
sx fino a una zona di mughi, la supero e, arrivato sotto roccia viva,
traverso a sx, alla base di un evidente facile camino inclinato a sx
(50 m. - V+).
L14 - Lungo il camino fino a un pulpito sullo spigolo. Qui
ci ricongiungiamo con la "Tissi-Andrich". Sosta di calata (con
moschettone lasciato dal sottoscritto), la prima delle 6 (o 7) lungo i
camini a sx dello spigolo (faccia alla parete) (35 m. - III+).
L15 - Tratto pianeggiante tra mughi, muro mugoso, canalino a sx e
paretina con strapiombo fessurato a sx di un brutto camino. Oltre
questa, per rocce articolate al vertice di un pilastrino (50 m. - V).
L16 - Passa davanti in pianta stabile Dario, in modo da non perdere
tempo nello scambio di materiale. Sul filo dello spigolo per rocce
articolate passando a fianco di un grande larice rinsecchito (55 m. -
III).
L17 - Sempre ora di qua, ora di là dello spigolo per rocce
facili (55 m. - III).
L18 - Breve tiro contornando a dx un cimotto. Sosta
su clessidra dopo 30 m. (30 m. - III).
L19 - A sx puntando di nuovo allo spigolo. Salire una rampa alla sua dx
e fare sosta a una clessidra sotto l'anticima alla base di un diedro
articolato (50 m. - III).
L20 - Lungo il diedro articolato per rocce facili fino all'anticima (IV
- 40 m.?).
La cima si può raggiungere con facile arrampicata lungo
evidente cresta.
Discesa - Integrazioni alla rel. De Biasio. Le
calate iniziano nella
fascia di mughi appena a Est dell'ometto di anticima (vecchia fettuccia
arancione nascosta).
1 CD - Circa 50 m., tenendosi a dx (faccia alla parete). Il 2°
ancoraggio è tra
mughi alla base di un pilastro a dx (faccia alla parete) del canale di
discesa.
2 CD - Circa 55 m., puntando al versante dx del canale che piega a sx.
Sosta tra mughi.
3 CD - Circa 40 m., fermandosi in un punto nel quale il canale spiana.
Puntare a sx (faccia a monte - Sud) a un forcellino dal quale si
imbocca una
serie di rampe e canalini vegetati che, in circa 55 m., porta a uno
spiazzo erboso con larice. Da qui salire qualche m. e poi ancora
traversare a sx
per rocce facili fino a poter scendere a un cocuzzolo ricoperto di
mughi rinsecchiti dopo circa 50 m.. Dal cocuzzolo scendere un canale
alla sua sx (sempre faccia a monte - Sud) e traversare a sx fino a una
zona
di mughi sulla verticale del larice incontrato in salita (fettuccia di
calata lasciata tra i mughi). Raggiungere in CD (4 CD - un kevlar verde
lasciato) il pianoro del larice, scendere per qualche m. tramite un
canale alla sua dx (faccia a monte) e usare un ancoraggio sul posto per
scendere in doppia (5 CD) al primo dei 6 ancoraggi nei canali a dx
dello spigolo (se c'è ancora il moschettone che ho lasciato,
è un
vecchio moschettone ritorto color bronzo e con l'asta nera), nel punto
di congiunzione tra la nostra variante e lo spigolo.
6 CD - Calarsi tra i mughi tenendosi alla dx del canale (50 m.
circa). Iniziare a dire le preghierine perché le corde non
si
incastrino!
7 CD - Ancora tra i mughi. Dario non ha trovato la calata e ne
ha attrezzata una tra i mughi dopo circa 55 m.
8 CD - Tra i mughi puntando a sx al caminone, pulito da vegetazione. Ci
si ferma in un punto nel quale spiana, prima di una zona fitta di mughi
(50 m.).
9 CD - Attrezzata da Dario in mezzo ai mughi per scendere a un pinetto
a dx (15 m.)
10 CD - Dal pinetto fin sul fondo di un altro punto nel quale il
caminone spiana (45 m.?).
11 CD - A dx del ripiano, nascosta in una nicchia tra i mughi, la
calata, rinforzata con un cordone arancione di Dario (55 m.).
12 CD - Non ricordo la sede dell'ancoraggio. Comunque calata in obliquo
a dx fino al vertice dello zoccolo. Se c'è ancora la corda
di
Dario, rimasta incastrata sul posto, può essere vostra
facile
preda...
Toccata terra, puntare al vertice del dorso del pilastro e scendere un
primo salto ricorrendo a provvidenziali mughi.
Nella discesa, il terzo giorno, per la presenza di fango, abbiamo
attrezzato brevi doppie anche nel tratto di zoccolo poco sotto
l'attacco della nostra via (2 da 30 m.) e poco prima del "Col di San
Lugan". Quando il Colle si esaurisce in ripidi pendii boscosi sopra
l'ultimo salto di rocce, cercare l'esile traccia di discesa tenendosi
verso il Boral di San Lucano e scendere per canali fin quasi sull'orlo
del salto. Quindi traversare a dx (faccia a valle) fino a un
caratteristico faggio
a più fusti dal quale si scende di una decina
di m. e si traversa a
sx ripercorrendo a ritroso la cengia di salita e giungendo alla prima
delle due ultime doppie da 30 m. ( 25 m. di statica sul posto) che
conducono al tratto a pioli infissi dai boscaioli.
Utile, in salita sullo zoccolo, predisporre ometti per contrassegnare
gli svincoli critici, difficili da riconoscere in discesa (rel. 1
maggio 2007)
Via
Tissi-Andrich [con uscita per - presunta - var. Casarotto]
Tissi, Andrich - V+ (1480 m.?)
Nel quarto penitenziagite post-pasquale 2008, Dario Sandrini e ddt salgono lo spigolo Tissi-Andrich alla Terza Pala di San Lucano con l'intenzione di percorrere poi le Creste di Milarepa e insaccarsi così - in particolare ddt - scorte e scorte di inumano.
Ma, arrivati in cima, trovano la neve, molta neve.
E siccome ddt su ghiaccio e neve è un impedito totale, sono costretti a ripiegare: proseguire sarebbe troppo pericoloso.
Quindi bivaccano sull'anticima della Terza Pala, su uno stretto ripiano ai confini tra l'abisso dello spigolo sud, che - per quanto possa sembrare strano - conduce al mondo degli uomini, e la terra - quasi - orizzontale del mondo di sopra, di un'agghiacciante bellezza non per umani, che non saprei su che cosa dia.
Infine si calano per l'infinito spigolo e l'intricato zoccolo [mai più una terza volta!], arrivando a fondovalle vivi e con tutte le ossa integre e al loro posto, ma con la mente un pochino...
Beh, avete capito...
Dalla sua spedizione nell'oltremondo ddt ha riportato nel mondo di qua:
il fischio di un camoscio [ora sa non "quando" ma almeno "dove" "figliano le camozze": sulle Pale di San Lucano; e, a Dio che nel turbine sfida Giobbe chiedendogli: "Sai tu quando figliano le camozze?" - Gb 39,1 - potrebbe ribattere: "Non ancora, ma mi sto organizzando"...];
il canto e il volteggiare di un'aquila [l'aquila della Terza Pala];
la vista di un'aspide, l'aspide più bella che abbia mai incontrato, bianca e con una marcata quadrettatura nera sul filo della schiena [vista da Dario per primo];
una zecca sul braccio, subito sfrattata;
il ricordo di una notte, luminosissima nella sua oscurità totale [in senso letterale: non c'era la luna, ma - forse per la neve - si disinguevano in modo netto i profili delle montagne intorno, come se emanassero una luce propria];
una bella dose di inumano, al punto che i due, ora, quando aprono gli occhi di notte, emettono un fascio di luce e non hanno più bisogno della frontale; i produttori di led possono iniziare a preoccuparsi.
Tutto vero, tranne l'ultimo punto.
E c'era bisogno di ribadirlo?
Altrimenti, visto che giochiamo di fantasia, arrivati in cima, avremmo potuto, come dicevamo scherzando durante il viaggio di andata in auto, usare il teletrasporto di Star Trek per tornarcene a casa senza il minimo sforzo e senza passare l'oscura notte luminosa che invece abbiamo trascorso al gelo lassù
Se si cerca una via di bella roccia e dalla linea elegante, meglio puntare ad altro.
Salire l'insidioso zoccolo per i pochi tiri belli finali difesi da centinaia di metri di canali e spigoli ricoperti da erbe e mughi presuppone altre aspettative.
Come al solito, appena ci si alza sopra il boral, l'esperienza diventa soverchiante.
Materiale usato: cordini, qualche friend medio-piccolo e medio, qualche nut di analoghe dimensioni.
Avvicinamento - Integrazione alla mia rel. precedente: qualcuno ha tracciato - con nastro in plastica del tipo "lavori in corso" - una linea di salita e di discesa sul tratto di zoccolo sottostante il Col di San Lugan.
Si presti molta attenzione, dopo la fissa, alla fine del traversino a sx [quello che inizia col pass. su muretto servito da cavo metallico arrugginito] a non piegare subito a dx verso un segnavia che si intravede in alto: noi abbiamo seguito quella linea in discesa trovandoci costretti a un pass. delicato [IV] proprio sopra il salto.
Meglio salire diritti e in lieve obliquo a dx fino al faggio con molti tronchi segnalato nella mia prec. rel. e da lì cominciare ad obliquare a dx.
Prima o poi i segnavia ricompaiono, per svanire poi in modo misterioso poco sotto il salto che lo zoccolo compie tra prima e seconda zona di alberi abbattuti.
N.B. - Ho molti dubbi su lunghezza e sviluppo dei tiri. L'erà avanza e la memoria se ne va...
L1 - Rampa erbosa verso dx (30 m. - III).
L2 - In traverso e in obliquo verso sx usando mughi vari - e, più o meno in mezzo al tiro, una breve fessura - fino al filo di spigolo. Il chiodone "Tissi" non c'è più. Allungare bene le protezioni (30 m. - V-)
L3 -In traverso a sx aggirando una fascia di mughi, poi diritti fino a un terrazzino inclinato sotto un camino (40 m. - IV-).
L4 - Io sono salito per una paretina all'immediata dx del camino. Al suo termine a dx tra i mughi fino a un larice con calata. Poi mi sono alzato ancora nel canale soprastante fino a far sosta su mughi. Per evitare gli attriti meglio salire diretti nel canale lasciando l'albero sulla dx (50 m. - V, almeno per me).
L5 - Prima nel canale, poi sulla dx dell'evidente camino soprastante per muro a gradoni mugosi (35 m. - IV).
L6 - A dx per breve placca, poi a sx per rampa con mughi fino a un pino con sosta [cordone arancio - della nostra calata 2007 - e maillon rapide nuovo] (40 m. - IV).
L7 - In obliquo a dx per placche fino al filo di spigolo. Poi lungo questo (40 m. - IV).
L8 - Mi manca. Presumo: spigolo (40 m.? - II/III?)
L9 - Idem.
L10 - A sx, rientrando nel canale a sx dello spigolo. Poi diritti fino alla forcella cui arriva la nostra L14 della "Santomaso-Conedera" (30 m. - IV-).
L11 - L12 - L13 - Come da L15 a L17 della nostra versione della "Santomaso-Conedera".
L14 - Come L18 della "Santomaso-Conedera". Ma faccio sosta più in alto, appena sotto il filo di spigolo, dopo aver salito una paretina sopra la nostra S18 della rel. precedente (50 m. - IV).
L15 - Per il filo di spigolo, pianeggiante. Superare una forcella [roccia delicata] e riprendere lo spigolo che torna verticale e su bella roccia. Sosta a dx dello spigolo sotto la parete terminale (50 m. - IV+).
L16 - Salgo diritto come un fuso il bel diedro sopra la sosta, pensando sia il diedro di L20 della rel. precedente. Non è lui. Arrampicata faticosa [forse per i metri di arrampicata fatti in giornata] su roccia buona, ma da verificare. Evito l'ultima strozzatura del diedro uscendone a dx per rocce articolate e lasciando sulla sx una sosta con 3 ch. Sosta su spuntone poco sotto il margine della parete (50 m. - V+).
Discesa - Integrazioni alla mia rel. precedente. Non troviamo la vecchia fettuccia
arancione nascosta sotto i mughi. Aggiungiamo cordone arancione più moschettone.
1 CD - Circa 35 m., tenendosi a dx (faccia alla parete), su mugo. Kevlar rosa lasciato [ma non so quanto resterà lì: non l'ho strozzato].
2 CD - Circa 15 m., in obliquo a sx fino a vecchio cordone in clessidra.
3 CD - Circa 50 m., puntando al versante dx del canale che piega a sx.
Sosta tra mughi.
4 CD - Circa 40 m., traversando il canale a sx fino a spuntone nei pressi di una nicchia, ottima per un bivacco.
In arrampicata per il forcellino e la
serie di rampe e canalini vegetati fino al larice della mia prec. rel..
Da qui abbiamo traversato a sx (faccia a monte) 30 m. fino a una calata (10 m.) sotto strapiombi; ancora a sx fino a uno spigoletto sotto il cocuzzolo ricoperto di mughi rinsecchiti.
A un mugo abbiamo attrezzato con cordone blu una calata di 40 m. (5 CD) fino al larice di cui alla prec. rel..
6 CD - Calarsi tra i mughi tenendosi alla dx del canale (30 m.
circa - Nuova sosta di calata su fettuccia blu di probabile recente tentativo).
7 CD - Ancora tra i mughi (30 m.).
8 CD - Dario non ha trovato la calata che avevamo attrezzato all'epoca e ne
ha attrezzata un'altra tra i mughi dopo circa 50 m.
9 CD - Sul fondo del caminone, prima della zona fitta di mughi
(30 m.).
In arrampicata fino al pino con il cordone di calata arancione già incontrato in salita (15 m. - IV).
10 CD - Dal pino fin sul fondo dell'ultimo salto del
caminone (45 m.).
11 CD - A piedi a dx del ripiano (faccia a monte), al larice con cordone di calata incontrato in salita. Di qui 1 doppia in lieve obliquo a dx di 55 m. porta a un esile terrazzino con clessidra e cordone [di calata? E' la nostra prima protezione su L3].
12 CD - In lieve obliquo a dx, fino a mugo con cordino e maillon rapide di calata (35 m.).
13 CD - Breve doppia (20 m.) fino a terra.
Di qui, giù per i mughi.
Una sosta con fettuccia colorata - non facile da trovare - permette di superare il tratto verticale di zoccolo tra le due zone ad alberi abbattuti. Poi si ritrovano i segnavia in plastica.
Prestare attenzione, quando il Colle si esaurisce in ripidi pendii boscosi sopra
l'ultimo salto di rocce, a prendere la traccia di discesa segnata più a sx [faccia a monte]. O, se si segue la traccia che scende per canali più verso il boral di San Lugan, a non abbassarsi troppo sul salto. Qualora capitasse di sbagliarsi, ci si può comunque calare da nuova fettuccia blu con maillon rapide che, con 30 m. di doppia max, dovrebbe portare all'inizio della corda fissa [scrivo "dovrebbe" perché noi abbiamo attraversato a sx arrampicando fino a prendere l'imbocco della cengia che verso dx - faccia a monte - porta alla fissa] (rel. 4
maggio 2008).
Casarotto, De Donà - VI+ gradi
"Marmolada" (1500 m.?)
Partiti da Brescia alle 20.30
di venerdì, arriviamo in Valle di San Lucano alle 23.30.
Appena in tempo per sistemare alla bell'e meglio i nostri sacchi a pelo
sul "balcone di una casa chiusa", come ventuno ore più tardi
dirà - giusto per alimentare le strane voci che girano sul
nostro conto - Dario alla moglie telefonandole dalla cima dello Spiz di
Lagunaz.
La "casa chiusa", ovvio, è la baita del Tita, locale non
più attivo da anni e in virtù di questo, appunto,
"chiuso".
Attiva è invece una locanda sulla strada, qualche centinaio
di m. più in basso, che, per buona parte della notte, offre
musica da balera in accompagnamento al nostro sonno leggero.
Le ore scorrono tranquille, per quanto è possibile tra
rullate di batteria e giri di basso,
appena attutiti dalla breve distanza che ci separa dal bar, chiacchiere
di avventori del locale che, ubriachi, recuperano l'auto lasciata sotto
il nostro bivacco e cordate che arrivano a ore antelucane per attaccare
le mostruose pareti sopra la nostra testa.
"Dove andate?", chiede ai primi Dario, sempre vigile.
"Via Armando", fanno loro.
Ci sarà affollamento sulla Terza Pala.
Alle 5.45 suona la sveglia.
Dario ha obiettivi ambiziosi: raggiungere la vetta dello Spiz per la
"Casarotto-De Donà" entro il tramonto.
Alle 7.00 partiamo.
Saliamo rapidi nel bosco seguendo le evidenti tracce (sei cordate,
sembra, solo nell'ultima settimana) e più o meno a
metà avancorpo raggiungiamo un'altra cordata partita prima
di noi con l'intenzione di ripetere il "Piano Inclinato".
Con tutte le cordate che ci saranno in parete, non sarà
difficile avere testimoni per dimostrare alle mogli dei miei
stimatissimi colleghi Ralf Steihilber e Dario Sandrini che, quando
andiamo in montagna, non lo facciamo in compagnia di piacenti e
compiacenti signorine.
Solo per contropunzecchiare Ralf che mi ha punzecchiato per tutta la
salita (ma dove trova il fiato?) e dopo che, all'attacco, al cospetto
dell'impressionante mole del pilastro dei Bellunesi, per l'ennesima
volta mi fa: "Allora... Questa notte seratina allo 'Spiz di Lagunaz
disco pub'?" , gli rispondo: "Leggerai l'intro alla relazione della
via... Un orgia... Altro che bionda con le zinne al vento...".
Seguendo una tradizione ormai consolidata, attacco io.
Porterò la cordata fino all'inizio della "Casarotto-De
Donà".
Poi sarà la volta di Dario.
Ralf - occasione più unica che rara - farà il
turista.
I tiri si susseguono lenti, più per la difficoltà
di chiodare le soste che per l'impegno in arrampicata, al punto che,
raggiunto il Piano Inclinato vero e proprio, decidiamo di salire
slegati.
La mossa ci consentirà di arrivare al punto nel quale inizia
la via più o meno in orario rispetto alla tabella di marcia:
ore 13.30.
Dario attacca alle 13.45.
E impiega un'ora a fare il primo tiro, sprotetto e molto duro.
Un'altra ora se ne va per il secondo. E poco meno per il terzo.
De Biasio scrive che Casarotto dichiarò
difficoltà di VII nella sezione iniziale della via.
I redattori del CAI gli proposero di essere più prudente.
Vorrei vedere qui quei redattori del CAI adesso.
Secondo me, primo, secondo e terzo tiro hanno rispettivamente
difficoltà di VI+, VI+ e VI "gradi Marmolada".
Ralf è per analoghi gradi, ma in versione dolomitica
standard.
Beh...
Non ho mi visto Ralf farsi in Ao un VI+ dolomitico standard,
come gli capita su L2.
Magari non avremo scelto la linea migliore, ma anche i IV+/V- dei tiri
superiori ci fanno penare.
E così da L5 Dario deve mettere il turbo: una lunghezza
sostenuta dietro l'altra piazzando una protezione qua e una - molto, ma
molto - là.
E soste sempre rognose da attrezzare.
Alle 19.20, col sole ormai sotto l'orizzonte, siamo a quello che sembra
l'ultimo tiro.
Dario si fa 60 m. filati e poi chiama corda.
Ci stacchiamo dalla sosta e procediamo in conserva.
Ormai è scuro. Per fortuna c'è un abbondante
spicchio di luna...
Tra la tenue luce lunare e il fascio dei led della frontale di Ralf, si
vede abbastanza anche per salire quest'ultimo muro articolato che
sembra non finire mai.
70, 80 m.... Poi la corda viene recuperata in maniera più
regolare.
Più rilassati, saliamo quest'ultimo tratto
nell'oscurità, ombre tra le ombre.
Ore 20.
Nicchia di sosta.
Recupero anch'io la mia frontale e la accendo per illuminare Dario
mentre supera l'ultimo muro di mughi.
Tra un'operazione e l'altra, accendo anche i led rossi.
"Sosta a luci rosse", fa Ralf.
E "Cena a luci rosse", aggiungerà, mentre, nel bivacco in
vetta allo Spiz, per l'occasione ribattezzato "Spiz di Lagunaz disco
pub", divoriamo le provviste con tanta fatica portate fin
lassù, io alla luce rossa della mia frontale.
Alle 24.00 - tipico orario da follie in discoteca - come
prevedibile ce ne stiamo rintanati
nei nostri sacchi da bivacco e, tremolanti dal freddo, cerchiamo di
dormire, quando...
BLAAAMMM...
Fasci di luci multicolori sprizzano dalle pietre...
Una musica battente - che sembra fuoriuscire dai mughi lì
attorno - inizia a pulsare ...
Attorno a noi lo spazio si riempie di risate argentine, e del suono
secco di tacchi a spillo su un pavimento ben più regolare
della spianata di massi e rami contorti che ci circonda.
Sprofondiamo nel terrore più totale.
Grande via, molto sostenuta, poco chiodata e poco chiodabile.
Avvicinamento e rientro - pur da non sottovalutare - sono meno
impegnativi rispetto agli itinerari sul versante SE della Terza Pala.
Avvicinamento - In questo periodo ben marcato per le
molte visite alla parete. A grandi linee, dalla baita del Tita fin
sotto la parete; quindi prendere per rampe alberate inclinate a dx fino
a poter risalire diritti e a sx per paretine e boschi sospesi.
Raggiunta una cengia sotto la banca della Trevisana, piegare a sx
seguendo ometti e salire per il filo di spigolo tra versante S
e versante O. Quando questo si perde, piegare a dx per tracce e salire
alla grande cengia sotto la parete S. Tramite questa, camminando
lungamente a sx e girando di nuovo lo spigolo (alcuni tratti esposti e
un breve camino da salire arrampicando), si perviene sotto l'imponente
pilastro dei Bellunesi. Info più precise sulla guida Di
Biasio .
Piano Inclinato (fino a L12 della rel. De Biasio)
Riporto la rel. sempre in forma approssimativa per la
difficoltà a dare riferimenti.
Per rampa a dx fino a dx di un largo camino che scende dal fondo del
Piano Inclinato.
Lo si attraversa e si sale una parete alla sua sx (1 ch) per un paio di
lunghezze di corda fino a poter rientrare sul fondo del colatoio.
Standone sulla dx e talvolta rientrando sul fondo salire fino
all'imbocco del Piano Inclinato vero e proprio (grande masso incastrato
nel punto dell'evidente cambio di pendenza).
Da qui si sale scegliendo la linea migliore ancora sul fondo o
sulla parete di dx fino a incrociare, dopo un "naso" accennato sul
fondo del diedro, 2 ch (1 ad anello all'apparenza nuovo e 1 vecchio ch
a U).
Fino a qui difficoltà max di V-.
Casarotto-De Donà
L1 - In obliquo a sx fin sotto un tetto obliquo a dx; si obliqua sotto
il suo bordo e si sale il diedro che lo delimita a dx; per lama obliqua
a sx fin sotto un diedro fessurato per il quale si raggiunge un
terrazzino di sosta (1 ch di fermata) (45 m. - VI+).
L2 - Placca sopra la sosta fino a un cordino sotto un piccolo tetto; si
traversa a sx, si oltrepassa una fessura e si prosegue ancora a sx per
placca fino ad entrare in un diedro inclinato a dx (1 ch); al suo
termine a sx in placca con lame per circa 8-10 m.
raggiungendo una fessura obliqua a dx per la quale ci si alza
fino a una nicchia nella quale si attrezza sosta (45 m. - VI+).
L3 - Appena a sx poi diritti e in obliquo a dx per diedro fessurato
atletico; sosta a una cengia con grande mugo (45 m. - VI).
L4 - In traverso a sx entrando in un diedro inclinato a sx; al suo
termine in traverso a sx fin sul fondo del gran diedro che
condurrà in vetta (50 m. - IV? o V+ se si sbaglia diedro
come ho fatto io).
Poi più o meno sul fondo del diedro seguendo la linea
più facile per più lunghezze (5-7?); noi in
più sezioni siamo saliti in conserva; sotto la vetta il
diedro si allarga e spiana; questo tratto terminale va salito tenendosi
sulla faccia sx del diedro che compie una progressiva rotazione verso
sx; ultima sosta in una nicchia tra i mughi.
Nell'ultima sezione difficoltà di V, continue.
Discesa - Descritta in modo detagliato da De Biasio.
Non mi ci soffermo. Unica nota: la parete S del Monte San Lucano
è tagliata da 2 cenge erbose: una poco sotto la cima e una,
più ampia, più in basso, con evidente traccia. Si
segue la traccia fino a cambiare versante (O). Dopo circa 100
m., scendendo in obliquo verso il margine della cengia, si
nota un ometto. In un diedro sulla verticale dell'ometto un cordone su
clessidra consente una calata in doppia da 60 m. che termina su esili
terrazzini; con arrampicata di III si scende a una più ampia
terrazza e traversando a dx (S) si esce dalla parete e si raggiunge una
marcata traccia che porta all'Arco di Bersanel, alla Forcella di Gardes
e al sentiero di discesa (rel. 24 settembre 2007)
Casarotto, Radin - VI+ gradi
"Marmolada" (785 m. circa - zoccolo escluso)
Dhyana
è la de-simbolizzazione del mondo
R.B. Blyth
Riformulazione mia
Uno - L15-L16
S15 è un mugo.
Le fronde sono verdi; ma il tronco è secco.
E quando ho calato Ralf intenzionato a fare L15 con la stessa angolatura di direzione del disegno sulla guida di De Biasio [in obliquo a sx su placca, partendo dal terrazzo ghiaioso sottostante, e non in traverso per fessura, come avrei fatto io], la povera pianta oscillava e si scuoteva in modo preoccupante.
Ho rinforzato il tutto con una lametta in fessura.
Ma, nonostante il rinforzo, il punto di fermata non è un granché.
Ora Ralf è dietro un rigonfiamento della parete.
Le corde scorrono lente.
E se Ralf conduce in placca e le corde scorrono lente, vuol dire che è difficile.
Mi si risveglia dentro una certa inquietudine: se Ralf volasse, la sosta potrebbe non tenere.
Nel caso peggiore lui strapperebbe le poche protezioni messe sul tiro [vedo solo un friend a 3-4 m. dal punto di attacco della placca], pendolerebbe verso il fianco sx del vago pilastro sotto di me, darebbe un colpo al mugo e, con questo povero essere vegetale sopravvissuto a chissà quali, ben più gravi catastrofi geologiche e atmosferiche, strapperebbe anche me dalla parete.
A questo punto, a essere fortunati, finirei 5 m. più in basso, sul pendio ghiaioso a dx del vago pilastro di cui sopra, farei da contrappeso a Ralf e terrei su la cordata.
A essere sfortunati, sfileremmo tutti e due verso valle, puntando a velocità crescente al bosco in cima al colle, 600 m. sotto.
Da qui si vede bene come la frana del 1907 lo abbia sconvolto, schiantandone come un meteorite i faggi e i larici del margine sud-est.
Si nota proprio la distribuzione a raggiera degli alberi, abbattuti attorno al punto d'impatto della massa principale della frana.
Ma poi penso: "Perché mi preoccupo? Sto cadendo? No. E allora?".
Respiro a fondo e lascio che la paura sfumi.
Il sole giallo che sta per tramontare alla mia sinistra, è vuoto.
Vuoto il cielo a ovest, lattiginoso per l'aria calda, quasi estiva.
Vuote le montagne coperte di neve.
Vuoto il mondo.
Ralf chiama sosta.
Sgravo il mugo dal mio peso, ridiscendo alla vetta ghiaiosa del pilastro e parto.
Primi m. in placca.
Roccia di merda, alterata, ricoperta di polvere strana, come se un'immane, ruvida palla da bowling ne avesse limata la superficie.
La frana del 1907?
Un appoggio su tre si disgrega al solo tocco. Bisogna stare attenti.
Arrivo al friend, lo sfilo con le dita senza nemmeno agire sulle camme ["Psicologico", dirà Ralf], salgo per 4 m. in un punto nel quale il socio ha piazzato altre due protezioni [una decente, l'altra - un arnese infilato in qualche modo in un buco dai margini sottili - inutile] e raggiungo la lametta che Ralf ha piantato dietro una piccola scaglia di roccia.
Un colpo di martello al ch. E la scaglia salta.
L'ultima protezione - un nut - staccatasi dal punto nel quale era alloggiata, se ne viene ondeggiando beata giù per la corda.
Mentre mi sposto a sx verso il diedro d'uscita, noto l'aspetto sempre più malsano della roccia, come se immani forze ancora la comprimessero e ne polverizzassero i punti di giunzione tra le masse.
Brutto posto.
Arrivo in sosta.
La guardo.
Due friend incastrati tra le pareti del diedro e i margini di un blocco appoggiato sul suo fondo; cordino su spuntoncino; Ralf di traverso nel diedro.
"Ralf di traverso nel diedro" è parte della sosta.
"Non ti ho detto niente", dice Ralf.
"Ben fatto".
A sapere che la sosta era precaria non avrei arrampicato meglio.
Anzi: immaginare l'oscuro chiama l'oscuro.
Lo sapevano bene gli antichi che tacevano il nome di spiriti e dèi maligni per non evocarne la presenza.
Ci scambiamo il materiale.
Parto.
Un metro, due metri, tre metri nel diedro dal fondo polveroso e dai lati ornati di pilastrini in bilico.
Non riesco a mettere niente.
Quattro metri, cinque, sei...
Il diedro si biforca.
A dx o a sx?
A sx.
C'è un chiodo.
E' il ch di Bep.
Nut in fessura: adesso la cordata è più al sicuro.
Friend dmm 1 più alto. Sì, ora si ragiona.
Sarei tentato di prendere le immani lame a dx e sopra di me e di salire in dülfer; ma quelle - come affilate ghigliottine sospese, pesanti tonnellate - hanno l'aria di essere sul punto di abbandonare la loro sede millenaria e di piombare giù da un momento all'altro.
No, meglio restare sotto.
Arrivo al ch.
Traverso in placca a sx.
E sempre in placca aggiro il margine sx delle ghigliottine.
Salgo.
Vedo un friend in fessura, incastrato. Chissà di chi è...
Vado per girarlo e moschettonarlo; ma quello esce dalla fessura e mi resta in mano.
Lì per lì, non avendo moschettoni liberi sull'imbrago e preso dall'urgenza di proteggermi, non so che cosa farmene.
Lo fiondo nel vuoto.
Il friend sparisce dietro di me, svanendo dal mondo.
Piazzo un mio friend nella fessura, ora finalmente di roccia buona.
A faticose bracciate supero gli ultimi atletici metri del diedro e faccio sosta su un grande blocco al suo termine.
Mai più.
No, questa non è una parete per vecchi.
Guardo verso il sole.
E' tramontato.
Non siamo ancora fuori. Ma mi lascio andare a un sospiro di sollievo.
Due - Immaginazione al potere
Qualche giorno dopo ho la fortuna di chiacchierare al telefono con Ettore De Biasio che ha saputo della nostra salita.
Domenica era sotto la Lastìa per correggere alcune informazioni della vecchia guida in vista della pubblicazione della nuova e, mentre era seduto a godersi il sole e a guardare la valle da una cengia che solo lui conosce, ha sentito le nostre voci.
All'auto ci ha lasciato un biglietto che, noi, arrivando a Pont alle 22:45, in un primo momento abbiamo scambiato per una multa dei forestali.
"Siete voi di Brescia?", scriveva.
Sì, siamo noi.
Durante la telefonata mi racconta di Massarotto e di come stesse molto attento a organizzare le salite in modo da evitare il maltempo.
E poi - ironia della sorte - proprio un fulmine è venuto a prenderselo, alla fine di un'ascensione sulle montagne di casa.
Mi viene da pensare: "Era il suo destino; e lui lo presagiva e per questo era inquieto? Oppure, proprio perché - essendone inquietato - lo immaginava, immaginandolo ha creato i presupposti perché quello che presentiva accadesse?"
Immaginare il proprio futuro, nel bene e nel male - e non lo dico io - è una delle forme di autoprogrammazione più potenti ed efficaci: il mondo si adegua a sé stesso.
Per questo dicono "Pensa positivo".
E se uno non ci riesce?
A pensare positivo, dico.
Perché magari davvero c'è qualcosa come il destino. E mana, la mente, consapevolezza si invischia in labirinti di negatività.
O, più banale, perché, pensando il positivo, non si può non evocare il negativo, per enantiodromia, la legge degli opposti che governa mana, la mente, consapevolezza...
Sì, a volte e per qualcuno fare il vuoto dentro - dhyana - non è solo questione di igiene mentale.
E' questione di sopravvivenza.
Ripenso a Ettore, fermo a godersi il sole e a contemplare la valle da una cengia cui solo lui sa come arrivare.
Forse, dopo decenni di battaglie, si è davvero scelto la parte migliore.
***
Soundtrack: "Set the Controls for the Heart of the Sun"
Pink Floyd - Ummagumma track [1969]
***
Il 19 aprile mi scrive Paolo:
Sezione:
Climbing
Commento:
La calma nell'azione
Come una cascata diventa nella caduta più lenta e sospesa,
così il grande uomo d'azione
suole agire con più calma
di quanto il suo impetuoso desiderio
facesse prevedere prima dell'azione
Fredrich Nietzsche
Umano, troppo umano, I
Scusa, ma non ho resistito. Il richiamo alla lentezza del tuo ultimo post è stato come passare in costume adamitico in una foresta di dittamo. Proprio negli ultimi tempi mi sto domandando se i fautori della decrescita non abbiano ragione. E i dubbi sulla traduzione pratica nella vita di tutti i giorni dell'elogio della lentezza di valèryana memoria si fanno strada [vedi oltre, pazienza tua abusando].
Certo che schizzare fuori di casa dopo aver ingurgitato un caffè alle 7:00, 10 ore di smarronamento siderale per poi andare in fuga alle 17:15, con l'ultima telefonata a inseguirti [il cellulare, la più mefistofelica invenzione dopo la televisione], tuffarti nel traffico cittadino delle 17:30 per essere in falesia alle 18:00 o giù di lì per farti quei cinque tiri capaci di raddrizzarti un po' la giornata, per poi essere a cena entro le 8:45, altrimenti, la Signora, chi la sente?
Lentezza... Ma dove???
Recita Giuseppe Panella in un bel saggio su Paul Valèry facilmente rintracciabile sul web [Elogio della lentezza. Paul Valéry e la forma della poesia]: "La scoperta della lentezza annulla l'idea fissa della continua attività come auto-realizzazione così come la comprensione della suprema armonia dell'accordatura del mondo annulla la necessità di un continuo moto atto e ostinato nell'intento di poterla raggiungere. Lentezza e perfezione si sposano in una ininterrotta attesa dell'opportunità del possibile, nella paziente ricerca della zona di confine e del margine adeguato a far transitare il noto nell'ignoto, la vita nell'arte, la scelta di essere sempre e comunque al posto di quella di sprofondare nel suo oblio naturale."
E che cosa c'è di più transumante dal noto all'ignoto del progredire verticale, del saggiare tramite le difficoltà della parete i confini indefinibili [o definibilissimi?] dei nostri limiti? Non è forse il divagare e talvolta il perdersi in quella zona di confine uno dei pregi più alti del climbing?
Ancora il prima citato: "L'assenza, il vuoto, la mancanza non sono gli aspetti negativi della visione, ciò che la rendono impossibile; sono, invece, ciò che la sostanza visibile mostra di sé insieme a quello che viene veduto."
Ecco.
Per cui, concludendo, se sali piano stai certamente meditando; non sei spompo. Poi un giorno ti puoi trovare con la cervicale dolorante a fissare a bocca aperta e lingua penzoloni un 9a; e un irriverente folletto di 18 anni che ti dice: "Paho hö!" [bergamasco stretto; in Bressia diremmo "Và Sö!" Ma in orobico suona meglio).
Eh già, lui può dirlo... Lentezza o non lentezza.
E direttamente Valèry [e sono certo che nel subconscio - molto nel subconscio - non si riferisse alla danza, ma all'arrampicata]:
"Ma esiste una forma degna di nota d'un tale dispendio delle nostre forze: consiste nell'ordinare o nell'organizzare i nostri movimenti di dissipazione. Abbiamo detto che in questa sorta di movimenti lo spazio non era che il luogo degli atti: esso non contiene il loro oggetto. Adesso, è il tempo ad aver la parte maggiore. E' il tempo organico quale lo si ritrova nel regime di tutte le alterne funzioni fondamentali della vita. Ciascuna d'esse s'effettua con un ciclo d'atti muscolari che si riproduce, come se la conclusione o il perfezionamento di ciascuno generasse l'impulso del seguente. Su tale modello le nostre membra possono eseguire una serie di figure che si concatenano le une alle altre, e la cui frequenza produce una sorta di ebbrezza che va dal languore al delirio, da una sorta di abbandono ipnotico a una sorta di furore. Lo stato di danza è creato."
Prometto eclissi per almeno un mese.
Ciao!
Paolo
Respondeo:
Ciao Paolo.
Mi perdonerai se non abbocco alla tua esca.
Ma ho già scritto un papiro sopra.
E, se amplificassi solo alcune tra le numerose coppie enantiodromiche di symbola che tu dissemini qua e là in quello che scrivi [tra le altre: grande-piccolo; salita-caduta; sviluppo-desviluppo; velocità-lentezza; desiderio-apatia; danza-immobilità] scriverei qui, on line, il primo degli almeno due libri che, secondo più di qualcuno, stazionano da qualche parte nella mia mente [dove secondo me è bene che restino].
In consonanza col tuo commento, mi limito a condividere con te alcune impressioni di cui ho avuto conferma in occasione dell'ultima calata negli abissi lucani.
Là - o almeno sulla Casarotto-Radin alla sud della Quarta - ci si muove lenti per almeno tre motivi:
Perché la roccia è spesso smarza e poco chiodabile; e quindi si sale sempre circospetti;
Perché, in effetti, non ci sono più lo Steinhilber e il De Toni di una volta; poche palle: quarantenni suonati [in più di un senso] non abbiamo più la pompa dei trent'anni;
Perché lassù - o laggiù - la presenza di quello che tu chiami "confine tra noto e ignoto" è talmente soverchiante che, voglia o no, ci si ritrova a muoversi come sospesi in un eterno senza tempo; sì, il sole sorge e tramonta; le ore passano; ma tutto è immobile; e anche i nostri gesti sono schiuma sospesa su un mare di eternità.
Questa è una sensazione che almeno io trovo sempre disturbante.
Che è, 'sta roba?
Non conosco molti altri posti al mondo in grado di dissolvere in modo così rapido e violento la realtà ordinaria e al tempo stesso ogni sogno, o illusione che dir si voglia.
Lassù - o laggiù - dopo un po', resta solo il vuoto; ma è un vuoto dalla presenza imbarazzante.
Appunto: che roba è, questa?
Ne sai qualcosa?
Hai idee in merito?
Vabbe'...
Allora, tra un mese, il prossimo post, lo scrivi tu, ok?
Per i soldi, come sempre, facciamo a metà.
Grazie per il commento.
E buone fughe in Maddala.
Magari ci si incrocia là.
Sandro
***
Via molto impegnativa per la scarsa proteggibilità, la qualità della roccia che va peggiorando man mano si sale, la necessità di uscire dalla parete attraversando un corpo di frana in movimento [un friend che ho trovato una fessura su L16, con le camme - ossidate - bloccate, si è sfilato senza sforzo al primo tocco: è probabile che, da quando il friend è stato abbandonato in loco, la fessura si sia allargata di quei 2 mm. sufficienti a liberare l'attrezzo].
Di seguito riporto solo alcune integrazioni alla rel. consultabile su Pale di San Lucano, di E. De Biasio.
Utilizzati serie completa di friend [fino alla massima misura Ande - quella avevamo] e nut; chiodi: vengono buoni in particolare universali e lame; lamette utili per la psiche.
Avvicinamento - Buono l'approccio da Pont suggerito dal Drugo su Planetmountain [occhio alle multe: c'è divieto di accesso per i mezzi senza permesso], prima per buona traccia, poi per boschi evitando di alzarsi troppo sotto la Lastia [qualche ometto qua e là]; l'accesso al Van del Pèz è in discesa, tenendosi sul margine superiore del bosco [non portarsi su terreno troppo verticale e poco vegetato, ma restare in zona "faggi"]. Il tiro thriller è davvero una roulette russa. Nonostante fosse asciutto, io, forse anche condizionato dall'incidente, ho impiegato 1h e 30' a salirlo: in obliquo a dx nel primo tratto facile e in netto traverso a dx quando il muro erboso si verticalizza [altre rell. suggeriscono di salire a sx] - 60 m. - V su muro erboso verticale, a tratti strapiombante.
L1 - In semiarco sx-dx. Appoggi ricoperti da insidioso brecciolino. Nessuna protezione. Sosta da attrezzare su 2 ch [60 m. - IV];
L2 - A dx della sosta e poi sul fondo del diedro. Sosta da attrezzare, 1 ch e 1 n [50 m. - III];
L3 - Sul fondo del diedro. Roccia buona. Sosta da attrezzare [45 m. - V-];
L4 - Idem come sopra. [40 m. - IV];
L5 - Non ho capito dove si sarebbe dovuto deviare a dx. Sono rimasto sempre sul fondo del diedro eccetto sul facile, dove ho piegato a dx giusto per rispettare la rel.. Ma Ralf è salito diritto. 1 p. impegnativo nel primo tratto del tiro. Sosta da attrezzare con 2 ch alla base della prima delle due fessure che escono dal diedrone principale verso sx [60 m. - V+];
L6 - Ancora lungo il diedrone principale fino alla seconda fessura, la si sale, si obliqua a sx sotto un tettino fino a riprendere la prima fessura e la si segue in lieve obliquo a dx; sosta da attrezzare in un punto comodo alla base di una bella fessura strapiombante a dx dell'evidente pilastro mediano [40 m - V+];
L7 - Var. Dal Din-Santomaso [non capivamo la rel. Casarotto] - A dx per placca e poi per faticosa lama-fessura strapiombante, con diversi raddrizzamenti faticosi; ultimo pass. superato in placca a sx; sosta su sasso incastrato e nut [45 m. - VI+];
L8 - Lungo la continuazione della fessura, ora diramantesi in più linee; tenere la sx; quando le linee di sx si esauriscono sotto la radice di un vago spigolo strapiombante, cercare sulle placche compatte di sx un punto nel quale si possa traversare verso il pilastro; NON puntare alla sosta in alto a dx, a dx del vago spigolo; è una sosta di calata per errore di percorso; sosta in fessura su 2 friend [45 m. - VI-];
L9 - Lungo la fessura, poi diedro, piegando appena a sx fino al vertice ghiaioso del pilastro; si è alla base di una scaglia di roccia dall'aspetto poco rassicurante; Ralf fa sosta su spuntoncino, sul vertice del pilastro; ma appena sopra, in parete, c'è un ottimo chiodo [45 m. - V];
L10 - Superare la scaglia per fessura a dx e puntare alla scaglia di roccia soprastante [1 ch in buco da qualche parte]; salire la scaglia per camino al suo interno [friabile e complicato da proteggere]; al suo termine uscire a dx per placca smarza; sosta sul più sano dei pilastrini all'inizio dell'evidente obliquo a dx [50 m. - V+];
L11 - In obliquo verso dx fino a un terrazzino con ch alla base di una fessura [40 m. - IV-];
L12 - Lungo la fessura obliqua a sx; poi in obliquo a dx fino a un terrazzo alla base di una larga fessura diedro, in alto evolvente in magnifica lama; sosta su spuntone e nut circa 5 m. sotto l'inizio della lama [60 m. - IV+];
L13 - Salire la lama [1 ch] con arrampicata faticosa [30 m. - V/V+];
L14 - Per diedrini sopra la sosta; aggirare un tettino a dx; quindi in obliquo verso sx su terreno facile [rampa ghiaiosa] sotto il Pizèt; sosta che io ho attrezzato su mugo sopra il vertice del pulpito; non ho trovato altri punti validi di sosta [50 m. - IV+];
L15 - Ralf ridiscende al pulpito, obliqua a sx in placca e sale dritto 7-8 m. aggirando un rigonfiamento della parete; poi obliqua e traversa a sx fino a entrare nel sistema di diedri terminali; non trova il ch anticipato dalla rel. e fa sosta con cordino su spuntoncino e sandwich di friend e macigno incastrato; il tiro, con lo sviluppo datogli da Ralf, è pericoloso; meglio salire al mugo, obliquare a sx lungo la fessura [c'è posto per un paio di fr] e traversare a sx sopra il rigonfiamento aggirato da Ralf; con la var. di Ralf [45 m. - VI];
L16 - Lungo il diedro - attenzione agli appoggi: molti friabili - fino a una biforcazione; prendere il ramo di sx e, stando prima a sx - fessurino di dita - e poi sotto le lame sospese [placca a piccoli, ma ottimi appigli, protetta da 1 ch], si aggira il pericoloso tratto delle ghigliottine; ancora un po' per placca; quindi a dx per fessura e lame sul fondo del diedro [2 pass. atletici, ben proteggibili]; sosta da attrezzare su grande blocco al termine del diedro [40 m. - VI+];
L17 - 3 m. a sx, raggiungendo una placca di roccia da verificare sulla verticale di un vago spigolo; la si sale stando sulla dx della verticale dello spigolo e puntando poi allo spigolo medesimo [fessura sul filo]; per esso e per lame inclinate a dx a un larice finalmente fuori dalla parete [40 m. IV/IV+]
Discesa - Se c'è copertura nevosa sugli altipiani sommitali, attenzione alla crepa di mezzo m. a circa 20-30 m. dal bordo [se ricordo bene]. Con la neve è invisibile, ma affonda nel corpo della montagna. Poi come da rel. De Biasio [rel. 21 aprile 2011 - salita 9-10 aprile 2011].
Simon, Rossi - III e ghiaccio a
50° (breve tratto)
La rel. di avvicinamento
CAI TCI è
chiara, ma va
ricostruita pezzo per pezzo.
Sì, solo l'avvicinamento...
Ero con Filippo Nardi.
Dopo un bivacco su una delle cenge oblique del Pelmetto al
margine del grande canalone che scende dalla Fessura (l'intaglio tra
Pelmo e Pelmetto), l'estenuante salita degli ultimi 400 m. di conoide,
un delicato ingresso nella parete Nord via cengia Steger, lunghe
ricerche dell'attacco della via con relazioni solo parziali, finalmente
Filippo trovava il ch con cordino e il cuneo che segnalano la partenza.
Venne a riprendere la roba. Assieme salimmo verso l'umida fessura
d'attacco.
Lui era 4/5 m. davanti, io dietro, spostato di 2 m. dalla
sua verticale.
Un movimento come tanti e il piede di Filippo inavvertitamente
staccò
un blocco cilindrico di circa 2 kg che, rotolando, si spostò
sulla mia
verticale e puntò decisamente verso di me (come si sa, la
sfiga
ha una mira incredibile).
Che fare?
Alzarsi rapidamente? Su un muretto di III, tra rocce rotte e uno zaino
da 10 kg. sulla schiena? Nooo...
Scendere?
Non ebbi neanche tempo di fare il ragionamento che il sasso mi fu
addosso.
Onde evitare danni al torace o... alle gonadi, tentai di
afferrare il blocco e di fermarlo con le mani.
L'operazione sembrò riuscire, ma, all'ultimo momento...
tumpf,
il simpatico,
piccolo
macigno mi schiacciò il dito indice della mano sx contro la
roccia
sottostante.
Un'ondata di nausea... Feci finta di niente, deposi il blocco
e raggiunsi Filippo.
"Come va?".
"Male, temo". Per quanto, escoriazioni a parte, il dito fosse integro,
lo
sentivo staccato dalla mano, un tipico sintomo di frattura.
Bevvi qualcosa e mangiai, vincendo la nausea. Poi, di
necessità,
scendemmo.
Diagnosi in ospedale: "Piccolo distacco osseo all'estremo prossimale
della seconda falange". 15 gg di stecca e poi riabilitazione.
Stagione 2005 chiusa.
Comunque, da passo Staulanza si procede verso E puntando al margine sx
della
conca prativa che costeggia il parcheggio.
Si imbocca il sentiero per il rif Fiume (472, mi pare) e, dopo circa
2/300 m, si incontra una presa d'acqua in cemento protetta da
recinzioni. Non appena la si è superata, a dx si stacca il
sentiero per la val d'Arcia (480, mi pare). Lo si imbocca e lo si
segue, prima per boschi e poi per ghiaie sottostanti un avancorpo
roccioso. Con qualche saliscendi e traversando lungamente verso sx, si
perviene sotto l'immane, ripida conoide di ghiaia che scende dalla
Fessura. Noi l'abbiamo imboccata sulla dx (nel senso di marcia - sx
orografica), per traccia (sbarrata con sassi) che si stacca sulla dx
del sentiero principale.
Per essa e con fatica si sale lungo ghiaie cedevoli, stando sulla dx di
un largo canale scavato nella conoide e costeggiando la parete NE del
Pelmetto.
Prima di salire, si individui la cengia Steger nell'immane corpo della
parete N del Pelmo:è evidente linea di faglia a 1/3
(apparente)
del pilastro (cengia più piccola anche sotto, da non
confondere
con la cengia Steger).
Si continua a costeggiare il fianco NE del Pelmetto per tracce prima
umane e poi di camosci fino in corrispondenza di una cengia obliqua
verso dx (nostro posto da bivacco con muretto), nel punto in cui il
canale si addossa alla parete. A questo punto si traversa a sx
(pericolo scariche) e ci si porta nel mezzo della conoide, salendo con
molta fatica per circa 300 m. su ghiaie cedevoli e puntando a uno
strano avancorpo terroso poco sotto l'inizio della cengia.
Lo si raggiunge con delicatissima, ma breve (4-5 m.) attraversata su
ghiaccio vivo ricoperto di ghiaia, lo si sale per canalini al suo
interno e si perviene alla cengia (ch a U con cordone nero - chiodo di
via, cordone mio).
Imboccata la cengia, la si segue con grande attenzione per circa
250-300 m. fino a svoltare il vago spigolo che separa la parete NO
dalla parete NE (poco prima di aggirare lo spigolo, tracce di bivacco -
muretti - e ometto sulla cengia più o meno sotto l'attacco).
Si
aggira un tratto di rocce aggettanti e appena possibile, si
sale
un breve avancorpo di rocce rotte (III), puntando a un'evidente fessura
sulla dx (ch con cordino e cuneo di legno).
Da forc. Staulanza 3 h circa (rel. settembre 2005).
Relazione visuale della via sul sito di Iacopelli, a questo
link.
Via da ripetere, sia per l'ambiente
fantastico nel
quale si
svolge (un policromo pilastro dolomitico che si staglia sopra solitari
boschi
di faggi ed abeti), sia per l'eleganza della linea. Salita con
Filippo
Nardi (con noi erano anche Giuseppe Lupezza e Renato Santulli). Molti i
tiri
sostenuti (il VI+ riportato a valutazione è un VI+
"orientale",
circa
mezzo grado in più rispetto alle classiche gradazioni
dolomitiche),
per lo più ben chiodati. Al terzultimo tiro (diedro
verticale
dalle
pareti lisce) è saltato un chiodo a pressione che in passato
semplificava
la vita. Il passaggio può essere comunque protetto con un
friend
grande.
Molte le soste su tutta la via. Ebbi la fortuna di ripetere
l'itinerario OS,
anche grazie al fatto che mi trovai da secondo sul tiro del diedro
strapiombante:
le grandi prese che lo contraddistinguono consentono una libera di
soddisfazione.
La discesa è complicata: arrivati al termine della via si
sale
per
ampio canale che procede per salti verso sinistra fino a cambiare
versante.
Di qui si punta per cenge in direzione del vallone tra la Rocchetta e
la montagna
che la affianca a Est (Sasso di Toanella - qualche tratto di
arrampicata scabrosa
in camino). Infine, per esso alla base.