E, allora, di nuovo, il nostro personero impazzì. Prese a ridere piano piano, poi più forte e più forte ancora. Di colpo si butto il poncho sulla schiena che tremolava alle sue sghignazzate. E dinanzi allo spavento di Wiszozorro iniziò il suo ballo.
“Wifala, Wifala“, gridò.
Il fumo della danza lo avvolse. Non lo si vedeva più. Il suo poncho era un turbine di colori vorticanti. Senza cessar di danzare, scese lungo il pendio. Come una torcia passò bruciacchiando gli eucalipti.
[…]
Bruciò la masseria di Polidoro Quinto. Wìfala! Calcinò il gigantesco pisonay del cortile dei Requis. Wìfala! Evaporò l’acqua che scorre per Altomachay. Wìfala! Bruciacchiò la facciata del Municipio.
[…]
Nelle case dove festeggiavamo cominciammo a sudare. […] Il soffocamento divenne intollerabile: ci costrinse a uscire. Allora vedemmo! Tutta la gola stava ardendo! Un serpeggiar di colori avanzava incendiando il mondo!
Manuel Scorza, Cantare di Agapito Robles, Milano, Mondadori, 1977, pp. 232-233
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